Heart of the Sea, Howard sfoggia il suo talento ma nasconde il cuore

Dopo averci portato sui bolidi da corsa della Formula1 di James Hunt e Niki Lauda nel film Rush, Ron Howard ci fa salire a bordo della baleniera Essex, che nel 1820 andando a caccia di balene per ricavarne il prezioso olio, si imbatté in un gigantesco capodoglio che fece affondare la nave e costrinse l’equipaggio ad una dura lotta per la sopravvivenza. Da questa storia vera Hermann Melville trasse l’idea per il suo romanzo più famoso: Moby Dick.

Il film è strutturato su due livelli temporali intrecciati tra loro: Al presente, quando Hermann Melville si reca dall’ultimo superstite della baleniera Essex per farsi raccontare la vera versione di quello che accadde, e al passato, nei lunghi flashback che narrano la vicenda. Chi si aspettava un film dedicato interamente allo scontro tra l’uomo e la natura, personificata dalla grande balena bianca, rimarrà in parte deluso. La storia infatti si concentra prevalentemente sugli uomini che parteciparono a quel viaggio, sui loro rapporti il più delle volte burrascosi e sui loro desideri di avidità e potere. Sarà un viaggio alla scoperta di sé, dove i protagonisti avranno modo di riflettere sulle proprie azioni.

La cosa migliore di Heart of the Sea è senza dubbio la fotografia gelida e limpida di Antony Dod Mantle, in grado di conferire, attraverso un variegato uso di toni blu e verdi, carattere e tono adeguato ad ogni inquadratura. Gli effetti speciali riguardanti la ricostruzione in CGI della vendicativa balena sono un altro dei punti di forza del film, e i salti fuori dall’acqua di quest’ultima sono sicuramente tra le scene più belle. Grande è anche la regia di Ron Howard, che regala dei bellissimi primi piani e degli emozionanti campi lunghi, specialmente quelli dall’alto, con inquadrature costruite per ricordare i quadri risalenti al periodo del Romanticismo ottocentesco. La sua regia di talento e il suo stile consolidato non mancano a questo film, quello che manca è ben altro. Partendo dagli innumerevoli stereotipi e cliché del genere (la struggente partenza, la prima tempesta in mare, i difficili rapporti tra l’equipaggio, ecc), che non fanno certo brillare il film per originalità e inventiva, si arriva ad un basso tasso di emotività per gli eventi che si susseguono sul grande schermo. In più momenti si resta facilmente impassibili dinanzi alle difficoltà dello sventurato equipaggio, né ci si riesce a identificare con nessuno di loro, neanche con i comunque bravi Chris Hemsworth e Cillian Murphy. Soltanto tramite gli occhi del giovane Thomas (Tom Holland) che in seguito diverrà il narratore della storia, si riesce a trovare uno spiraglio di innocenza e rimorso dell’animo umano.

Se dunque il film si concentra maggiormente sulla lotta per la sopravvivenza successiva al naufragio, le scene che riguardano questo aspetto perdono tuttavia moltissimo in ritmo, nonostante un montaggio e una colonna sonora incalzanti, generando facilmente noia o fastidio. Si ottiene invece un lieve maggior interesse nello scontro con la grande balena, ma anche qui spesso capita di non sentirsi schierati né con l’una né con l’altra delle due parti, gettando lo spettatore in uno stato di confusione, o peggio ancora, di passività. Se con il precedente film Ron Howard ci aveva costantemente tenuto con il fiato sospeso, qui ciò accade di rado, causa forse anche di una sceneggiatura poco incisiva, e lo spettatore si trova a guardare due ore di film altalenanti.

L’aspetto tecnico del film è quindi in buona parte ottimo, e i grandi difetti si trovano sul versante emotivo. Ma la sola tecnica non basta a rendere attraente un film di questo genere, ci vuole  anche il cuore. Confrontati sulla bilancia i difetti pesano di più rispetto ai pregi, consegnandoci così un’opera che si lascia guardare senza infamia ma anche senza lode, e che risulta più un esercizio di stile sul genere, che lascia però passivo lo spettatore.