Corruzione, tre pontini accusati di aver recapitato “bustarelle” ad assistente capo della Polizia Penitenziaria

Il carcere di Frosinone (foto de "Il Messaggero")

Tre le persone residenti a Latina e in provincia coinvolte nell’operazione di polizia giudiziaria che oggi ha portato alla luce episodi di corruzione nel carcere di Frosinone. I carabinieri del Reparto Operativo-Nucleo Investigativo del comando provinciale del capoluogo ciociaro hanno eseguito quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere, una ai domiciliari, e sei di obbligo di dimora, tre delle quali a carico degli indagati pontini.

I provvedimenti, emessi dal Gip Francesco Mancini su richiesta del Pm Rita Caracuzzo, traggono origine da una articolata attività d’indagine svolta tra luglio e settembre scorsi a seguito del ritrovamento, da parte di personale della Polizia Penitenziaria, di alcuni telefoni cellulari all’interno di celle della casa circondariale di Frosinone. Le misure cautelari sono quindi il risultato di un approfondimento investigativo, sia sui telefoni rinvenuti sia sulle modalità attraverso le quali gli stessi erano stati introdotti all’interno delle mura carcerarie, che ha portato gli investigatori ad appurare una reiterata attività di corruzione da parte di quattro detenuti del carcere di Frosinone nei confronti di un assistente capo della Polizia Penitenziaria al fine di introdurre apparati telefonici e sostanze stupefacenti. 

I quattro destinatari dell’ordinanza di detenzione in carcere sono due albanesi, Golyart Lega 35 anni e Andi Agaglio, 37 anni (già in carcere a Frosinone e attualmente uno a Spoleto e l’altro ad Isernia), un romeno di 26 anni, Marian David Sordu (anche lui già detenuto presso il carcere di Frosinone e poi finito ai domiciliari prima del nuovo arresto di oggi) e Domenico Coppola, napoletano di 26 anni (dopo la permanenza nel carcere di Frosinone è stato ristretto presso la casa circondariale di Ariano Irpino). Ai domiciliari Rinaldo Neccia, 47enne originario di Piglio (Frosinone) assistente capo della Polizia penitenziaria presso la casa circondariale di Frosinone.

Attraverso una sorta di passa parola i detenuti destinatari dell’ordinanza notificata oggi, parlando tra loro, sarebbero venuti a conoscenza – secondo gli inquirenti – della possibilità di potersi dotare di un telefono cellulare corrispondendo alla guardia carceraria una somma che variava dai 150 ai 500 euro. Tale denaro sarebbe stato fatto recapitare al destinatario (l’assistente capo accusato) attraverso la mediazione di congiunti istruiti in tal senso o attraverso i previsti colloqui o raggiunti direttamente al telefono attraverso l’utilizzo di apparecchi già presenti ed in uso all’interno del carcere, generosamente messi a loro disposizione da uno dei quattro detenuti che ne aveva già il possesso.

I 13 indagati a cui è stata notificata l’ordinanza cautelare sono tutti accusati in concorso del reato di corruzione e tra questi, dicevamo, tre pontini. Si tratta di un uomo e due donne: P.A., 52enne di Sabaudia, di P.R. di 43 anni e P.A. 38 anni, la prima di Sabaudia e la seconda di Latina, titolare di un bar, tutti e tre legati all’albanese Andi Agaglio. In particolare le due donne sarebbero state entrambe fidanzate del 37enne detenuto. I tre pontini, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbero ricevuto dall’albanese istruzioni per far recapitare la mazzetta all’assistente capo della Polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Frosinone.

In generale nel corso delle indagini sarebbero state accertate tre cessioni di telefonini, di ultima generazione, muniti di sim card e caricabatteria, l’introduzione di 50 grammi di sostanza stupefacente del tipo hashish e la corresponsione complessivamente di circa 2000 euro che sarebbe stata fatta recapitare all’assistente della polizia penitenziaria in parte attraverso dazione diretta per il tramite di familiari ed una parte attraverso l’accreditamento su una Postepay intestata alla stessa guardia.

L’uso dei telefoni da parte dei detenuti, secondo l’inchiesta della Procura, sarebbe servito a svariate esigenze. Dalla necessità affettiva di mantenersi in contatto con fidanzate, genitori e congiunti in genere alla gestione di altre illecite attività, come nel caso di Golyart Lega, che curava, in ogni fase, “la prostituzione della propria sorella e compagna attraverso l’inserzione in specifici siti di annunci e foto, l’indicazione alle donne di un vero e proprio codice comportamentale da tenere con i clienti in ordine a tempi e modalità dei rapporti, rimanendo talvolta in linea sia nella fase di ‘contrattazione’ che di consumazione della prestazione sessuale”. gli introiti, al netto delle spese di gestione, sarebbero stati versati su una postepay che il detenuto gestiva direttamente dal suo efficiente smartphone comodamente dalla sua cella.