Cinquanta sfumature di gente

Mentre in ambito nazionale Beppe Grillo si smarca dalla sua stessa creatura politica che conta più o meno un terzo della classe dirigente italiana (e scrivendo non posso non pensare alla faccia che farebbe chiunque leggendo queste righe dopo essersi svegliato da un coma cominciato una sera del 1986 durante Fantastico 7), in provincia di Latina, terra per eccellenza di alchimie sociali e politiche, si sperimenta l’ultima frontiera del civismo: il “gentismo”.

Autoimploso il “laboratorio della destra”, fallito pure il sogno del fascio-comunismo pennacchiano e ridicolizzati da percentuali da zero virgola i leghismi, i federalismi e i “volemosebenismi” tutti, a cercare di dare filo da torcere a un piddì che non sa più come suicidarsi e a un centrodestra che sembra ancora non aver capito che le amministrative ci saranno nel 2016, ci provano i tipi di “Latina bene comune”. Un agglomerato civico che per stessa ammissione del suo uomo più in vista, Damiano Coletta (professionista nell’ambito sanitario), non si colloca né propriamente a sinistra né, figurarsi, a destra. Piuttosto, al centro. Ma nel senso di “tra la gente”.

Conosciamo l’obiezione: e non c’erano per questo già i grillini? Osservazione pertinente, se non fosse che il sogno a Cinque Stelle di Beppe Grillo ha raccolto a Latina alle ultime amministrative percentuali prossime allo zero. Malgrado un candidato, Giuseppe Vacciano, considerato da molti – e a ragione – in assoluto il migliore tra i pentastellati del territorio. Tutta colpa di un partito che “tira bene” a livello nazionale, ma manca di appeal quando c’è da andare a bussare a porta, dopo porta, dopo porta. Così il consenso che i grillini non riescono a coagulare diventa il miraggio che dà un senso alla scommessa dei tipi di “Latina bene comune”. Quintessenza, a tutti gli effetti, di questa nuova frontiera del civismo.

Del resto, con la complicità di buona parte del ceto politico e della classe dirigente pontina che ha governato Latina come peggio non poteva negli ultimi anni, rendendola la città e la provincia che sono, si è nutrita nel tempo una schiera infinita di potenziali salvatori della patria. Il mito ideologico della società civile nato sulle ceneri della prima repubblica, in terra pontina si è nutrito degli scempi politici e amministrativi fatti registrare dentro e intorno piazza del Popolo. Ovunque si è radicata la convinzione che il passante arrivato quasi per caso su una poltrona sia migliore del politico che l’ha preceduto, anche se sappiamo bene che la società civile può essere persino più incivile della politica stessa, una volta al potere. Un po’ come se l’avvocato ben vestito, il giudice amico delle istituzioni, il fisioterapista dalle mani d’oro, ma anche la sindacalista pasionaria o l’imprenditore di successo, siano di per sé più onesti e, per qualche oscura ragione, più legittimi e attendibili dei politici eletti prima di loro.

Così alla vigilia di questo esordio del “gentismo”, all’alba di questo civismo 2.0, prima di questa nuova, nuova primavera del concetto “il cittadino prima di tutto”, viene da chiedersi se sia davvero così: e cioè se ci sia qualcuno tra i “professionisti della politica” che vale ancora un pezzo della nostra fiducia, o se, invece, insieme all’acqua sporca, sia da gettare anche tutta la classe politica pontina.