Case a luci rosse nel Sud Pontino, indagata maitresse colombiana con indennità di disoccupazione Inps

Sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione nel Sud Pontino: obbligo di dimora e di firma per una donna colombiana ricercata da diversi mesi. La misura cautelare è stata eseguita dalla Guardia di Finanza di Formia nel momento del rintraccio della stessa ed il provvedimento, emesso dal Tribunale di Cassino, è scaturito da un’attività investigativa delle Fiamme Gialle, su delega della Procura.

L’inchiesta riguarda un’organizzazione dedita stabilmente allo sfruttamento e al favoreggiamento della prostituzione, anche attraverso la locazione “in nero” da parte di alcune ragazze di origine extracomunitaria di immobili ubicati nei comuni di Minturno e Cassino.

La donna colombiana, destinataria della misura cautelare, è ritenuta dagli inquirenti il dominus della organizzazione.

Dall’articolata attività investigativa svolta, eseguita con sopralluoghi, pedinamenti e con l’utilizzo delle banche dati in uso alla Guardia di Finanza, è emerso che la sudamericana, coadiuvata da alcuni uomini locali incaricati della ricerca di nuovi clienti, si occupava non solo della gestione di distinte case d’appuntamento, ma provvedeva anche alla ricerca delle ragazze da avviare alla “prostituzione”, il cui compenso a seguito delle prestazioni sessuali veniva poi trattenuto in misura superiore al 50%.

Le indagini hanno permesso di delineare tanto il reato di favoreggiamento quanto quello di sfruttamento della prostituzione. Il primo poiché l’organizzazione non solo metteva a disposizione delle ragazze immobili locati “in nero” per l’esercizio dell’attività illecita, ma si adoperava anche a facilitare ogni forma di contatto tra il cliente e la prostituta; il secondo, invece, perché gli indagati erano soliti esigere parte dei proventi conseguiti dallo sfruttamento delle ragazze.

Nel corso dell’attività, inoltre, è emersa in capo ad un uomo di origine bresciana responsabilità penali per indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, poiché avendo falsamente attestato all’Inps l’attività svolta dalla indagata come collaboratrice familiare, aveva permesso alla stessa di percepire un’indennità di disoccupazione di circa 50.000 euro, nonché di soggiornare lecitamente sul territorio dello Stato.