Arrestato e assente dal lavoro per due settimane, ma senza aver informato in modo diretto l’azienda. È questa la ragione che ha portato il Tribunale di Latina a confermare il licenziamento per giusta causa di un dipendente che, all’epoca dei fatti, si era limitato a far comunicare la propria indisponibilità tramite un collega. Una modalità ritenuta del tutto inadeguata dal giudice del lavoro, Umberto Maria Costume, che ha respinto il ricorso dell’uomo e confermato la piena legittimità del provvedimento.
Secondo quanto emerso in sentenza, l’assenza risale all’ottobre 2023, quando il lavoratore venne sottoposto a misura restrittiva in carcere. Al datore di lavoro non giunse alcuna comunicazione formale: il dipendente incaricò una terza persona di informare un capo cantiere, che a sua volta avvisò alcuni responsabili. Una catena informale e priva degli elementi minimi utili all’azienda per organizzarsi, sostituire la risorsa o comprendere tempi e natura dell’impedimento.
Il giudice ha sottolineato che l’arresto costituisce ovviamente un motivo valido per non presentarsi al lavoro, ma ciò non esonera il dipendente dall’onere di comunicare tempestivamente e in modo efficace la propria assenza. Una informazione generica, arrivata per vie traverse e senza alcuna precisazione su tempi e motivazioni della detenzione, non è stata ritenuta sufficiente a giustificare un’assenza protratta per oltre due settimane.
Nella sentenza si legge che la totale mancanza di un contatto formale con il datore ha compromesso il rapporto fiduciario alla base di ogni rapporto di lavoro. Di qui la conferma del licenziamento per giusta causa e il rigetto del ricorso, con il lavoratore condannato anche al pagamento delle spese di lite.
Il caso chiude ogni margine interpretativo: anche in situazioni estreme come un arresto, la comunicazione verso l’azienda deve essere chiara, diretta e documentata. Solo così il datore può affrontare le esigenze organizzative senza restare nell’incertezza.








