Crack Cirio, lo stabilimento di Sezze è un cimitero industriale

I telegiornali tornano a parlare di crack Cirio con gli sviluppi del processo che ha preso il via dopo il fallimento del gruppo che faceva capo a Cragnotti; e a Sezze è impossibile non pensare allo stabilimento di via del Murillo (uno dei più grandi in Italia), che da quel 2001 è ormai chiuso.
Quanto sarebbe stato saggio riutilizzare l’ex stabilimento Cirio di via del Murillo per strapparlo all’abbandono in cui giace da ormai 16 anni? I dodici ettari di quello che per anni fu uno stabilimento fiore all’occhiello e volano di un intero territorio, sono oggi un deserto post industriale, depredato e abbandonato. Ciò nonostante nasconde ancora un potenziale di fronte al quale la politica è rimasta colpevolmente cieca; cieca e pure sorda rispetto a chi, negli anni, ha provato a suggerire come far rinascere quelle tonnellate di cemento che inerti, così come sono oggi, rappresentano uno sfregio indelebile all’interno della campagna pontina, lì dove la terra regalava prima i sui frutti migliori.
L’intero complesso, costruito per ampliare il precedente stabilimento che sorgeva sulla SS 156 (oggi rigenerato a nuovi utilizzi commerciali), è finito fagocitato nello scandalo del gruppo Cirio fino alla chiusura decretata nel luglio 2001 dopo il fallimento delle ditte Arlecchino e Arcobaleno. Fino all’estate precedente, era arrivato a dare lavoro a migliaia di dipendenti di Sezze, ma anche di Pontinia, Sermoneta, Priverno, Maenza, Roccagorga, Bassiano e chi più ne ha, più ne metta. Durante la stagione dei pomodori, costituiva il vero traino dell’economia pontina raccogliendo il prodotto delle campagne nostrane, assicurando un’entrata agli agricoltori, pagando lauti stipendi ai lavoratori, muovendo il mercato dei meccanici impegnati sui mezzi di trasporto, quello dei pezzi di ricambio, e via discorrendo fino a muovere un indotto che comprendeva anche l’affitto di alloggi a quei lavoratori che, provenendo da troppo lontano, preferivano affittare casa a Sezze Scalo. Senza contare i circa 30 assunti a tempo indeterminato che corrispondevano ad altrettante famiglie con reddito assicurato per tutto l’anno. Poi, di colpo, tutto è finito, Stabilimento chiuso, lavoratori a casa e macchinari svenduti. Un patrimonio dilapidato e depredato per una scelta avvenuta a tavolino più che per un effettivo dettame del mercato. E di fronte a ciò la politica locale, invece che intervenire, ha assistito allo scempio quasi a braccia conserte (dove il quasi sta a significare alcune interrogazioni, prese di posizione parse per lo più di facciata e poco altro ancora).
Negli anni a seguire, il silenzio assordante di quei dodici ettari è aumentato. E il polo industriale fiore all’occhiello di un territorio si è trasformato nel cimitero di cemento che è oggi. Ogni macchinario è stato smontato e portato chissà dove, senza badare ad evitare danni alle strutture. Eppure, nell’attuale cimitero di cemento si nascondono ancora potenzialità che tenere così inermi rappresenta un peccato vero oltre che un lusso che i nostri territori non si possono permettere. Con quello che c’è, si potrebbe pensare ad una riconversione in parco acquatico, centro commerciale, allevamento ittico, centro polisportivo, centro funzionale logistico e chi più ne ha più ne metta. C’è chi intuendolo, ha fiutato l’affare del riacquisto all’asta. I governi locali, potrebbero subentrare appropriandosi del tutto. Ma servirebbe la volontà di farlo e un’idea precisa di cosa farci.

I tesori ancora nascosti nella tomba che fu la Cirio
Equidistante da Sezze, Latina Scalo, Sermoneta e forse anche Pontinia, già la collocazione geografica fa del sito uno snodo logistico ad alto potenziale, con arterie stradali come nuova SR 156 e SS Appia a portata di mano. I dodici pozzi che servivano ad attingere l’acqua su cui far scorrere i pomodori, sono ancora lì, privi delle pompe ma non dell’acqua che durante periodi di emergenza idrica come quello dell’estate appena trascorsa, avrebbe rappresentato una risorsa strategica. Per non parlare del resto. Dei 12 ettari totali, 8 sono coperti e potrebbero ospitare di tutto: da un’area fiere ad un mega centro commerciale. Nella parte esterna ci sono invece ben 7 piscine che servivano allo stoccaggio dei pomodori lunghe circa 20 metri, larghe 4 e profonde 2. Poi c’è il depuratore, un impianto che per dimensioni fa sfigurare l’opera faraonica in costruzione a circa 300 metri di distanza. Il Comune di Sezze ci ha investito, tra fondi propri e fondi regionali, circa 6 milioni di euro e ancora non riesce a vedere la conclusione. Eppure tale imponente opera è nulla rispetto al depuratore della ex Cirio. Già bello che costruito c’era un depuratore biologico dal diametro di circa 15 metri e una altezza 9, una piscina per clorare 10x6x2 metri, una piscina per il contenimento della calce 8x4x7 metri; e poi le piscine per la precipitazione dei fiocchi di fango: la prima, circolare da circa 25 metri diametro e una profondità di 5; la piscina di attesa dal diametro di 12 metri e profondità 3. E poi le immense piscine del depuratore vero e proprio: la prima circolare dal diametro di 60 metri e 7 metri di profondità (quella che veniva utilizzata per la precipitazione dei fiocchi di fango); l’altra, immensa, anch’essa circolare con un diametri di 80 metri e 11 metri di profondità (che veniva utilizzata per ossigenare l’acqua mediante sistema di soffiaggio automatico dell’ossigeno); la sua mole è tale da contenere tutte le vasche del mega depuratore in costruzione, maggiore anche del delfinario dello Zoo Marine. E poi c’è la piscina rettangolare larga 12 metri, lunga 40 metri e profonda 4 ( in cui avveniva la prima deposizione sia sostanza pesante dia sostanze leggere). Ripristinate (sarebbe costato senza dubbio meno dei 6 milioni di euro del nuovo depuratore) avrebbero potuto depurare gli scarichi non solo di Sezze, ma anche dei comuni limitrofi. Forse sarebbero in grado di svolgere le funzioni del centro di trattamento dei fanghi che Acqualatina voleva realizzare a Sermoneta, proprio al confine con Sezze, ovvero lì vicino. E resterebbero le potenzialità degli immensi hangar che mastodontici sono ancora lì, pronti ad ospitare nuova vita.

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Luca Morazzano, giornalista pubblicista, nato a Sezze, vive a Maenza. Intraprende la via del giornalismo qualche tempo dopo la Laurea in Filosofia per tirarsi fuori dal dolce-amaro far nulla della disoccupazione dopo gli studi. Comincia dalla cronaca sportiva di incontri di calcio dilettantistico sui campetti di provincia (che ancora non abbandona); tenta la via dell'insegnamento senza successo qundi scommette tutto sull'informazione. Dopo esperienze varie, diventa corrispondente dai Lepini per il Giornale di Latina.