La finestra sul cortile, messa in mostra dello sguardo spettatoriale

Considerato come il film per antonomasia sull’atto stesso dell’osservare, La finestra sulcortile (1954) “ha come struttura di base essenzialmente la visualità”, dichiara Hitchcock. Ecco la chiave di lettura dell’intera pellicola, anche se è chiaro che in un’opera di tale portata non si possa considerare come un dato da interpretare univocamente.

La narrazione si sviluppa infatti attraverso l’organizzazione di due diversi livelli del testo filmico, da una parte lo sviluppo della vicenda attraverso il celebre uso della suspense che contraddistingue il regista, dall’altra la messa in evidenza delle potenzialità tecniche ed espressive del cinema stesso, che determinano la natura meta-cinematografica del film.

Già nelle prime sequenze si manifesta questa sua duplice natura, attraverso la contrapposizione dei due spazi della narrazione: l’interno e l’esterno, ossia l’appartamento del protagonista (Jeff) e ciò che si vede al di fuori della sua finestra, verso il cortile. Ciò che risulta chiaro sin da subito è che lo spazio della finestra arriva a coincidere con quello dell’inquadratura e che lo sguardo dello stesso Jeff, nell’atto di guardare verso gli appartamenti di fronte, corrisponde a quello dello spettatore cinematografico. Si tratta di uno sguardo che trae godimento dall’osservazione delle vite altrui senza essere guardato a sua volta, uno sguardo che è tipico del voyeur. Il piacere che quest’ultimo prova, è determinato dalla possibilità di introdursi indisturbatamente nell’intimità negli oggetti del suo sguardo e quindi oggetti del proprio desiderio. Il fatto che ad egli non venga restituito lo sguardo da coloro che osserva e quindi non venga scoperto, e il fatto che tra di loro ci sia una distanza “di sicurezza” che permette ciò, sono due fattori fondamentali per il soddisfacimento del proprio piacere.

Nulla di dissimile da quello che accade a Jeff, che con il suo binocolo osserva indisturbato e da lontano, dalla sicurezza della propria abitazione, gli inquilini negli appartamenti del palazzo di fronte. Viene così a stabilirsi un’evidente connessione con lo sguardo spettatoriale, che al cinema durante la proiezione, può godere degli stessi vantaggi e benefici. Questa componente meta-cinematografica viene ad essere ancor più accentuata dal fatto che le azioni delle varie persone spiate, sono contornate da finestre che richiamano inequivocabilmente l’inquadratura filmica. Inoltre la scelta dettata dal protagonista su cosa guardare prima e cosa dopo, crea un legame con il processo del montaggio.

Non è un caso che Lisa, fidanzata del protagonista, durante tutta la prima parte del film, non venga mai completamente desiderata da quest’ultimo fino a che non diviene oggetto del suo stesso sguardo, introducendosi nell’appartamento di Thorwald che Jeff aveva scoperto essere un assassino. La ragazza, diventa “personaggio cinematografico” attirando definitivamente su di sé le attenzioni del fidanzato. Qui però va fatta un’altra importante considerazione che riguarda il masochismo insito in questo tipo di sguardo. Perché se è vero che Lisa diviene quanto di più simile ad una immagine schermica, è vero anche che le modalità in cui lo fa suscitano preoccupazione e ansia, proprio perché irrompe furtivamente nell’appartamento di un uomo pericoloso. Ma come di fronte ad un buon thriller, Jeff rimane segretamente ed inconsciamente attratto da tale visione, al punto da trasporre quelle emozioni adrenaliniche in puro amore.

La suspense di questa particolare sequenza risulta poi “stratificata”, perché prima ancora dell’arrivo dell’assassino in casa, ci troviamo di fronte ad una situazione prolungata di pericolo e questo già di per sé genera uno stato ansioso. Nel momento in cui entra in scena Thorwald, l’inquietudine viene naturalmente ad intensificarsi e se si considera che il tutto viene osservato da un uomo, nel quale lo spettatore si identifica, che per via della propria gamba ingessata è impossibilitato a muoversi, ecco che assistiamo ad uno dei momenti di tensione più statici e al contempo angoscianti dell’intera storia del cinema.