“Se fosse rimasta al focolare non sarebbe accaduto”, Desirée e il massacro del Circeo

A sinistra Donatella Colasanti durante il processo sul massacro del Circeo

“I genitori non hanno vigilato su Desirée“. Questa ipotesi è caduta come un macigno nell’udienza preliminare relativa al procedimento penale sulla morte della 16enne di Cisterna. Uno degli indagati ha denunciato i genitori per negligenza. “Se la giovane non avesse passato la notte a Roma nulla sarebbe accaduto”. Questa la tesi di una strategia difensiva che ha colpito l’opinione pubblica. Basta leggere i commenti indignati ai tanti articoli giornalistici che hanno riportato la notizia.

Se la ragazza fosse stata a casa, a Cisterna, nel suo contesto, non le sarebbe accaduto nulla”. Non si può incolpare la vittima, perché è minorenne, e allora la responsabilità cade sui genitori.

Ricorda tanto un’altra strategia difensiva, quella tentata nel processo del massacro del Circeo. Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, rispettivamente 17enne e 19enne all’epoca dei fatti, vennero violentate, picchiate e seviziate in una villa in via della Vasca Moresca, in zona Punta rossa a San Felice Circeo, il 29 settembre 1975. Lopez venne portata nel bagno di sopra, dove fu annegata nella vasca. La più giovane invece riuscì a farsi liberare dal bagagliaio della Fiat 127 di proprietà di Raffaele Guido, padre di Gianni, parcheggiata in via Pola a Roma; vi riuscì fingendosi morta accanto al corpo senza vita della propria amica. Imputati nel processo furono Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira.

C’era l’avvocato Angelo Palmieri a difendere Guido. Tutti ricordano cosa disse in aula, durante la sua arringa conclusiva, lo ricordano sicuramente le femministe che all’epoca lo seguirono fuori dal tribunale per fargli capire quanta stima avessero di lui. Disse che “se le ragazze fossero rimaste accanto al focolare, dove era il loro posto, se non fossero uscite di notte, se non avessero accettato di andare a casa di quei ragazzi, non sarebbe accaduto nulla”. Aveva spostato l’accusa dagli imputati alle vittime. Si trattò di una strategia difensiva inaccettabile già allora. Inaccettabile per gran parte dell’opinione pubblica e anche per i giudici che alla fine condannarono gli imputati all’ergastolo.

“La stampa mi fece a pezzi”. Questo disse il penalista del foro di Latina, qualche anno fa, in un’intervista che gli feci sul processo del Circeo. “I giudici lessero la sentenza (di primo grado, ndr) a tarda notte – ricordò Angelo Palmieri – e sembrava di stare in uno stadio. Dovettero accompagnarci a casa i carabinieri con il furgone, neanche fossimo noi gli imputati”. Lui svolgeva il suo lavoro e tutti hanno diritto alla difesa, ma non gli perdonarono una visione del mondo che già all’epoca non corrispondeva più al sentire comune. Per essere delicata.

I genitori sono responsabili dei propri figli fino a 18 anni. E’ innegabile. Un genitore però sa cosa vuol dire trovare un equilibrio tra il controllare, proteggere e il lasciar andare, permettere di far loro fare i propri errori, i propri sbagli. Perché fa parte della crescita. In questo non rientra certo andare a Roma a cercare sostanze stupefacenti di notte in una zona malfamata. Sembra proprio però che questo non lo sapessero, che la 16enne aveva detto che avrebbe dormito da un’amica. Che fosse solo la seconda notte che non dormiva a casa.

Essere genitore vuol dire trovare ogni giorno l’equilibrio perfetto. Non è facile e purtroppo non tutto può essere sotto controllo. Questo però non può diventare un motivo per spostare le responsabilità – anche soltanto per un minuto, anche soltanto per una minima percentuale – da chi avrebbe violentato e impedito ad altri di soccorrere una bambina che stava morendo, ai suoi genitori.