Quota 100, solo 1306 domande in provincia. Garullo parla dei precari

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A Latina sono 1306 le persone che hanno deciso di optare per Quota 100, il meccanismo sperimentale introdotto dal Governo per uscire anticipatamente dal mondo del lavoro con 62 anni di età e trentotto di contributi.

“Dai dati che abbiamo elaborato – ha spiegato il segretario generale Luigi Garullo – scopriamo che la nostra è la terza provincia del Lazio per numero di adesioni. Prima c’è Roma con quasi undicimila domande e poi Frosinone con 1743. Seguono staccate Viterbo con 907 e Rieti con 447”.

“Allargando lo sguardo a tutto il Paese – ha aggiunto il segretario generale – ci accorgiamo che delle 142179 domande complessivamente presentate, 105078 sono state inoltrate dagli uomini, soltanto 37101 quelle consegnate dalle donne. Una disparità che conferma quanto sosteniamo da tempo, ovvero che Quota cento è poco rosa perché le donne hanno carriere lavorative discontinue e quindi un’anzianità contributiva media più bassa. Altro aspetto da evidenziare è che ci sono categorie penalizzate. Pensiamo ad esempio ai coltivatori diretti e ai mezzadri. Da loro sono giunte all’Inps soltanto 2883 richieste di Quota cento. Dai commercianti invece 119655 adesioni. Il numero cresce notevolmente se si considerano i lavoratori dipendenti che arrivano a 51644”.

Abbiamo letto i numeri insieme a Garullo. Poco più di 1300 persone, un dato molto basso se si pensa alle domande potenziali.

“Potenzialmente eravamo più preoccupati – ha risposto il segretario generale – perché soprattutto nel pubblico impiego chi va in pensione difficilmente viene sostituito. Le persone che sono venute da noi si sono spaventate per la diminuzione dell’assegno della pensione. Sono venuti a fare il calcolo e poi hanno rinunciato o comunque hanno preso tempo. La norma è sperimentale per tre anni quindi ci si può ripensare”.

La legge non va cambiare quindi quella che è stata la legge Fornero in modo così determinante, o a risolverne i problemi.

“No, effettivamente no. Noi non siamo contrari, ogni volta che si dà la possibilità ai lavoratori di andare in pensione è positivo. Ma la nuova normativa non guarda alla situazione generale. Ai precari, al lavoro discontinuo. Alle donne che possono beneficiarne di meno, perché hanno sempre più lavori discontinui. È un problema grandissimo”.

Che sembra non preoccupare nessuno.

Noi come sindacato ci poniamo il problema, abbiamo sempre pensato che bisogna dividere la previdenza dall’assistenza. L’Inps è un pozzo da cui vanno tutti ad attingere, ma tante cose poco c’entrano con i lavoratori. Se una solidarietà deve esserci andrebbe fatta a livello contributivo. Realizzare una norma per chi ha avuto lavori discontinui per coprire quei buchi. Altre prestazioni dovrebbero essere finanziate in altri modi, per esempio nella Sanità, nel Welfare. Ora il problema è latente, ma tra 10, 15 anni sempre più persone lavoreranno in discontinuità e serve una norma di salvaguardia”.