Sami Modiano agli studenti: “Nel carro bestiame 5 secchi d’acqua e un bidone vuoto”

Li chiama “i signori tedeschiSami Modiano mentre racconta agli studenti del liceo classico Dante Alighieri, di Latina, l’arrivo delle truppe della Germania a Rodi, all’epoca italiana, dove viveva con la sua famiglia e la deportazione della comunità ebraica. C’è un silenzio surreale, come se quei ragazzi fossero appesi alle parole di Modiano senza riuscire quasi neanche a respirare, tanto è il rispetto e la commozione.

Sopravvissuto all’Olocausto continua, nonostante non sia più un giovanotto, ad incontrare i ragazzi, perché sente su di sé la responsabilità di non permettere al mondo di dimenticare o di ricadere nell’orrore. “Anche se cercherò di farmi capire non arriverete mai a rendervi conto” dice agli studenti che fanno fatica a parlare anche quando è lui a porre loro delle domande.

“L’8 settembre 1943 – dice ai ragazzi scandendo bene le date – i tedeschi prendono l’isola di Rodi militarmente. All’inizio non si occupano degli ebrei, li ignorano.

Fino a giugno del 1944 non prendono nessuna iniziativa. Gli ebrei vivono con difficoltà per la guerra ma la preoccupazione per quello che si sentiva sulle deportazioni comincia ad allentarsi.

Invece ci eravamo sbagliati perché il 18 luglio del ‘44 arriva un annuncio nel quartiere ebraico dove vivevamo. Pregavano i capi famiglia di presentarvi al Commandatur con i documenti per un semplice controllo: non c’era allarme. Ricordo papà Giacobbe che ci dice stati tranquilli bambini vado con i documenti e ritorno: l’abbiamo salutato, io avevo 13 anni, mia sorella Lucia già 16 e mezzo. Era una bella signorina. Siamo rimasti ad aspettare. Lo hanno portato in una ex caserma militare abbastanza grande per contenere 2000 persone. Hanno studiato la cosa, ma noi non lo sapevamo allora”.

Poi sono andati a prendere gli altri con la scusa di aver bisogno di manodopera.“Pensavamo che saremmo tornati. La sera del 19 luglio tutti gli ebrei erano dentro quella caserma.
Ci hanno perquisito barbaramente, nel corpo, nei bagagli e preso tutti i beni di valore. Poi ci hanno distribuito in questo fabbricato. Il 23 luglio 1944 hanno fatto suonare le sirene sull’isola di Rodi facendo capire a tutte le altre comunità che ci fosse un bombardamento, fanno entrare tutti dentro rifugi: Era falso, nessun bombardamento: non volevano che vedessero la partenza della comunità ebraica. La mattina ci hanno fatto uscire, in fila per 5, ci hanno ordinano di camminare a testa bassa scortati da un gruppo di tedeschi arrivati appositamente dalla Germania per deportarci”.

“Ci hanno deportato con battelli carro da bestiame, che trasportavano maiali, capre, pecore, cavalli, da Rodi a Kos. Ci hanno buttato dentro le stive dei 3 piccoli battelli. L’ambiente era in condizioni igieniche disumane. C’erano ancora gli escrementi e l’urina in pieno luglio. Un’immagine che cambia tutto per noi”.

“I signori tedeschi – continua – da quel momento ci hanno considerato bestie da macello: eravamo già morti. Ma noi non lo sapevamo, non ci avevano detto che andavamo a finire nelle camere a gas o nei forni crematori.

In un angolo abbiamo trovato 5 secchi d’acqua, nell’altro un bidone vuoto. Solo una piccola parte aperta, per poter respirare, ma non si poteva respirare. C’erano bambini, donne in stato interessante, donne che stanno allattando, anziani e anziane con problemi di salute. E i giovani forti. Papà era uno di quelli. Si sedevano le persone che avevano più bisogno, gli altri stavano in piedi. 5 secchi non sarebbero bastare per dissetare tante persone”. Poi chiede ai ragazzi: “Il bidone avete capito a cosa serviva? Dove potevamo nasconderci, dove finiva il nostro pudore?”. Un bidone che ricorda come un pugno nello stomaco “Se questo è un uomo”.

Modiano non alza la voce, non cambia registro, non usa una parola fuori posto. Non serve, quello che racconta ha in sé tutto il male del mondo.

“Mio padre non beveva da tre giorni, ma ha rifiutato due dita di acqua per una vecchietta che poi non ce l’ha fatta. Quando abbiamo chiesto ai tedeschi come avremmo dovuto fare con il cadavere ce l’hanno fatto gettare in mare. In quel momento ho ringraziato Dio per aver preso mia madre prima, perché ho una tomba sulla quale posso recitare una preghiera, per andare a trovarla ogni volta che voglio”.

A quel punto si è commosso nel ricordare la madre, nel tentativo di far capire ai ragazzi quello che hanno subito lui, la sua famiglia, la sua comunità. Ha bevuto un po’ di acqua e ha continuato. Il silenzio dei ragazzi non si è mai rotto.

Il silenzio che dovrebbe essere anche quello di certi politici davanti a qualcosa che è anche soltanto difficile immaginare, davanti all’importanza che questi uomini e donne, sopravvissuti rivestono per tutta l’umanità. La loro testimonianza è preziosa e va trasmessa, per non dimenticare mai.