Latina, in nove a processo per messaggi fascisti contro la Boldrini

Damiano Coletta e Laura Boldrini il giorno dell'intitolazione

Venne il 19 luglio del 2017 a Latina per l’intitolazione dell’ex parco Arnaldo Mussolini (i giardinetti) ai magistrati uccisi dalla magia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Laura Boldrini, cinque anni fa è stata aggredita via social da messaggi fascisti. In nove sono finiti a processo, iniziato oggi presso il Tribunale di Latina. La vicenda sarà aggiornata in sede processuale il 23 febbraio 2023, quando in aula comparirà anche il sindaco di Latina Damiano Coletta, teste della parte offesa. Sulla vicenda interviene la stessa deputata del PD ed attuale Presidente del Comitato della Camera sui diritti umani nel mondo.

La nota

“Oggi la prima udienza di trattazione istruttoria del processo in cui sono imputate 9 persone per diffamazione aggravata nei miei confronti. Vicenda che risale al luglio 2017 quando, da Presidente della Camera, fui invitata dal sindaco di Latina a partecipare alla cerimonia di intitolazione ai giudici Falcone e Borsellino del parco cittadino, che in passato era stato dedicato ad Arnaldo Mussolini, fratello del dittatore. L’evento fu caratterizzato da un clima profondamente ostile, dovuto alla presenza di organizzazioni di stampo fascista e di estrema destra che si erano date appuntamento nel capoluogo pontino allo scopo di contestare me e la decisione del primo cittadino. Nelle settimane successive, appresi che sui social media, in particolare su Facebook, era apparso un fotomontaggio che raffigurava un piccolo balilla che urinava su una mia immagine, della cui realizzazione è accusato uno gli imputati, mentre alle altre persone rinviate a giudizio vengono contestati i messaggi pesantemente diffamatori che ne seguivano. Proprio in quei giorni avevo deciso di dire basta ai pesanti insulti, annunciando pubblicamente che avrei denunciato gli autori. Una decisione presa non solo per difendere la mia dignità di donna ma anche perché lo ritengo un dovere, un atto di responsabilità verso le istituzioni. Quel fotomontaggio raffigurava un bambino in divisa da balilla, quindi fascista, che urinava sulla testa della terza carica dello Stato. Non era quindi un’immagine solo sessista, non era un messaggio solo dissacratorio, era un messaggio anche gravemente eversivo. La dodicesima disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana vieta la ricostituzione del partito fascista sotto qualsiasi forma. Perseguire chi ripropone i simboli e la propaganda della dittatura è dunque dovere di legge e obbligo morale verso i principi democratici su cui si fonda la nostra Repubblica”.