Traffico beni archeologici, maxi operazione dell’Arma tocca anche Latina

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Tocca anche Latina e la sua provincia la vasta operazione dei carabinieri del comando Tutela Patrimonio Culturale scattata oggi per smantellare una holding criminale che, da tempo, gestiva un ingente traffico di beni archeologici provento di scavi clandestini in Calabria e destinati anche all’illecita esportazione all’estero.

Si tratta di un’operazione internazionale in corso di esecuzione in Italia, Regno Unito, Germania, Francia e Serbia, con il coordinamento di Europol ed Eurojust, a fronte di un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, emessa dal Gip del tribunale di Crotone, nei confronti di 23 persone e contestuali attività di perquisizione nei confronti di altri 80 individui, di cui 4 domiciliati all’estero. Al centro delle indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Crotone, le attività di una vera e propria holding criminale.

Le indagini, avviate nel 2017, hanno permesso di recuperare numerosi reperti archeologici per un valore di diversi milioni di euro.
Gli arrestati (due in carcere e 21 ai domiciliari) sono accusati di aver fatto parte, a vario titolo, di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di danneggiamento del patrimonio archeologico dello Stato, impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, ricettazione ed esportazione illecita. Gli 80 decreti di perquisizione hanno riguardato altrettanti soggetti, indagati in stato di libertà. Al vertice del gruppo criminale, secondo gli investigatori, si collocano due residenti nella provincia di Crotone (il primo a Scandale, il secondo a Ciro’ Marina), cultori di archeologia e conoscitori dei luoghi in cui reperire materiale archeologico da introdurre illecitamente sul mercato:
entrambi sono risultati essere costantemente impegnati nell’attività di ricerca clandestina di reperti e stabilmente collegati nel circuito di commercializzazione. Le indagini hanno certificato anche collegamenti con alcuni trafficanti di altri Paesi.

In territorio italiano, l’operazione è stata condotta in sinergia con i Comandi provinciali Carabinieri di Crotone, Bari, Benevento, Bolzano, Caserta, Catania, Catanzaro, Cosenza, Ferrara, Frosinone, Latina, Matera, Milano, Perugia, Potenza, Ravenna, Reggio Calabria, Roma, Siena, Terni, Viterbo ed il supporto dell’8 Nucleo Elicotteri Carabinieri di Vibo Valentia, dello Squadrone Eliportato “Cacciatori di Calabria” e del Nucleo Cinofili di Vibo Valentia.
Oltre 350 i militari impiegati, supportati all’estero dagli investigatori della Metropolitan Police di Londra, della Polizia Criminale del Baden-Wurttemberg, dell’Ufficio Centrale di Polizia Francese per la lotta al Traffico Internazionale di Beni Culturali e del Servizio Serbo per la Lotta alla criminalità organizzata.

 

Nel mirino un gruppo di tombaroli che – spiegano gli investigatori – agendo “nell’ambito di una organizzazione criminale con specifica ripartizione di compiti e di ruoli, e servendosi di tale struttura”, è riuscito a procurarsi un gran numero di reperti archeologici destinato al mercato clandestino italiano ed estero attraverso una fitta e complessa rete di ricettatori.
L’organizzazione – costituita da tombaroli, intermediari e ricettatori – “per qualità e quantità di illeciti commessi, nonché per caratteristiche strutturali ed organizzative” rappresenta un vero e proprio fenomeno criminale che, secondo la definizione del Gip, costituisce la “criminalità archeologica crotonese”, radicata nella provincia e capace di alimentare il reddito di interi gruppi familiari.

Le fasi del traffico illecito sono state documentate dettagliatamente attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, riprese video, pedinamenti, sequestri, fino ad arrivare alla vendita ai collezionisti finali. I vertici dell’organizzazione hanno diretto e controllato l’attività dei componenti, pianificato le singole spedizioni ed individuato i luoghi di interesse, grazie alle specifiche competenze in materia. Inoltre, hanno predisposto modalità operative tali da scongiurare, o quanto meno contenere, il rischio di controlli da parte delle forze dell’ordine, anche attraverso l’utilizzo di canali di comunicazione di difficile intercettazione.

I sodali, dal canto loro, si sono mostrati astuti e prudenti, consapevoli di dover “parlare poco” e di utilizzare un linguaggio criptico per riferirsi al materiale archeologico: “appartamenti”, “asparagi” o “motosega”, termine con il quale veniva abitualmente indicato il dispositivo “cerca metalli”.