Zingaretti-Raggi sul sistema rifiuti: un braccio di ferro che soffoca Roma

Da mesi tra il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma Virginia Raggi è in atto un braccio di ferro sul sistema dei rifiuti. Nel fine settimana il presidente della Regione è tornato a scaricare la responsabilità della crisi romana sulle spalle del sindaco affermando che è la Raggi che deve “costruire nuovi impianti sul territorio per chiudere il ciclo”.
A ben vedere Roma Capitale non è diventata deficitaria di impianti di trattamento solo con l’avvento del governo del Movimento 5 stelle. La situazione ha iniziato a degenerare con il suo predecessore, Ignazio Marino (Pd come Zingaretti) il quale ha chiuso la discarica di Malagrotta senza prevederne un’altra dove conferire gli scarti dei Tmb operanti a Roma che già all’epoca mostravano di essere sottodimensionati rispetto all’immondizia prodotta.
Altro problema è proprio quello legato alla lavorazione dei rifiuti indifferenziati: gli attuali impianti di Ama e Malagrotta (peraltro datati) non riescono a smaltire tutta l’immondizia prodotta da romani e turisti. Per questo Roma cerca sbocchi in impianti e discariche in altre Regioni che però, soprattutto negli ultimi tempi, stanno chiudendo molte porte in faccia alla giunta 5 Stelle. Una chiusura a riccio degli imprenditori che anche il numero 1 di Ama, Bagnacani, ha ipotizzato essere anomala interessando l’antitrust.
Una scelta, quella di portare fuori regione i rifiuti che, seppur dissanguante per le casse comunali e quindi per i cittadini, significherebbe un aumento di introiti per i gestori di discariche e impianti di trattamento (quasi sempre privati). Stop ai rifiuti romani che arriva, e questi sono i dubbi che hanno portato alla richiesta di intervento dell’Antitrust, all’indomani dell’ufficiale “bocciatura” del dominus Manlio Cerroni da parte del Consiglio di Stato (in sostanza i giudici hanno confermato la pronuncia dei colleghi del Tar che hanno sospettato “tentativi di infiltrazione mafiosa” nella gestione dei suoi impianti che quindi restano commissariati). In concreto, i vertici Ama sospettano che si sia formato un cartello tra imprenditori (a ben vedere le società coinvolte sono indirettamente controllate sempre da Cerroni) teso a bloccare ogni tentativo di risoluzione della crisi romana, con la Capitale che nel frattempo affoga tra i rifiuti.
Che la situazione sia complicata non c’è dubbio: quello che non si comprende è il perché di un braccio di ferro la cui soluzione sembrerebbe indicata dalla stessa normativa. Il piano regionale dei rifiuti prevede infatti che qualora un Ato di riferimento sia deficitario (e come detto a Roma manca prima di tutto una discarica e poi almeno un altro impianto che tratti rifiuti indifferenziati) le soluzioni vadano trovate negli Ato vicini. Ed ecco che basta andare a leggere le autorizzazioni regionali per rendersi conto di come a pochi chilometri da Roma, ad Aprilia, ci sia un impianto tbm (innovativo rispetto a quelli di Malagrotta e Ama e che produce solo il 20% di scarti rispetto al prodotto in entrata) che potrebbe trattare ulteriori 150 mila tonnellate all’anno rispetto a quelle lavorate attualmente. L’impianto in questione è quello di Rida Ambiente che, tuttavia, non può tendere una mano a Roma perché bloccato dalla Regione Lazio. Nonostante due sentenze del Tar infatti la giunta Zingaretti ancora non indica alla società una discarica dove conferire gli scarti (e quella di Pontina Ambiente, come certificato dalla Regione Lazio, ha già volumetrie disponibili) e rischia per questo il commissariamento, che dovrebbe scattare alla fine di giugno.
Zingaretti, in realtà, ha incentrato il suo ultimo attacco alla Raggi puntando alla normativa europea che impone di chiudere il ciclo dei rifiuti ne proprio Ato di riferimento. Ma se la normativa europea e quella regionale confliggono, perché in cinque anni di governo il presidente non ha provveduto a modificare il piano regionale di rifiuti che quindi resta in vigore e potrebbe essere attuato?
Che la politica in realtà stia aspettando proprio questo così da allontanarsi da una matassa di interessi e problematiche varie difficile da sbrogliare? Un’altra ipotesi è che la Regione, non è chiaro per quale motivo, stesse aspettando la pronuncia dei giudici sulla riabilitazione imprenditoriale dell’Avvocato, che avrebbe potuto nel caso tornare a gestire in prima persona il sistema dei rifiuti della Capitale come fatto negli ultimi 50 anni. La pronuncia del Consiglio di Stato rende tuttavia impossibile questo scenario: alla Regione ora non resta che rispondere all’ordine dei giudici, oppure essere commissariata. Ma nel frattempo Roma soffoca.