Alba Pontina, Armando Di Silvio: “Sono un povero zingaro, mi occupavo del bestiame”

Armando Di Silvio al momento dell'arresto nell'ambito dell'operazione Alba Pontina

E’ stato ascoltato questa mattina, nell’ambito del processo Alba Pontina, Armando Di Silvio, detto Lallà. Ha risposto alle domande del pubblico ministero Claudio De Lazzaro e poi al controesame degli avvocati Angelo Palmieri e Luca Giudetti, contestando a suo modo il metodo mafioso. “Sono un povero zingaro sfortunato – ha spiegato ai giudici del collegio penale – non conosco nessuno. Nella mia vita mi sono sempre occupato di allevamento di bestiame e della vendita di auto in nero”, ha ammesso. “Non faccio parte della criminalità organizzata”.

Si è adombrato quando gli hanno chiesto dei due pentiti, Renato Pugliese e Agostino Riccardo: “Stavano sempre a casa mia, come fossero dei figli e mi hanno tradito”.

L’udienza del processo che vede sul banco degli imputati gli indagati che hanno scelto il rito ordinario è stata rinviata al prossimo 24 novembre. In 9 sono stati già condannati in primo grado, sentenza lievemente modificata in Appello.

L’uso del nome Di Silvio e del riferimento anche soltanto al quartiere in cui vivono era di per sé una minaccia. Questo era emerso nelle intercettazioni telefoniche  – tantissime sono state raccolte dalla Dda di Roma e dalla questura di Latina nell’ambito dell’inchiesta Alba pontina. Nell’ottobre del 2016 Agostino Riccardo così diceva ad un imprenditore: “A Latina comandiamo noi… noi di Campo Boario… Io, Armando e i figli” e poi continuava: “C’avemo più armi noi che tutta la Questura di Latina“.