Saranno processati i 4 imputati accusati di aver tormentato due imprenditori di Aprilia e Pomezia, arrivando – secondo gli inquirenti – a chiedere 25 milioni di euro a fronte di un prestito di 13 milioni.
Sergio e Giampiero Gangemi, insieme a Patrizio Forniti, di Anzio e Mirko Morgani, di Latina, dovranno rispondere di estorsione e usura e di aver predisposto attentati con ordigni da guerra. Il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Roma, Tamara De Amicis, li ha rinviati a giudizio.
Il gruppo fu arrestato il 18 maggio 2018, al termine delle indagini avviate dalla Direzione distrettuale antimafia proprio dopo l’esplosione di colpi d’arma da fuoco davanti la casa di una delle vittime, a Pomezia, il 31 luglio 2016.
In un primo momento l’imprenditore negò di sapere chi potesse aver messo in atto l’agguato. Poi invece spiegò dell’incubo nato dopo aver chiesto il prestito, insieme ad un socio di Aprilia. I due avrebbero pagato agli imputati 19 milioni di euro, ma non era bastato per estinguere il debito.
Gli attentati si inseriscono in una serie di richieste estorsive e minacce aggravate dal metodo mafioso, che secondo gli investigatori sarebbero state messe a segno da due fratelli calabresi, Pietro e Sergio Gangemi, che da tempo vivono in provincia di Latina, e che già sono noti alle forze dell’ordine per ulteriori precedenti penali nel campo dei reati finanziari.
Sotto le minacce, sempre secondo la ricostruzione degli investigatori, l’imprenditore di Torvajanica era stato costretto a consegnare 300mila euro in contanti e una collezione di rolex e preziosi per un valore 340mila euro. L’uomo avrebbe dovuto promettere anche di estinguere il presunto debito di 25 milioni di euro con pagamenti mensili da 300mila euro. Richieste impossibili e al suo rifiuto sarebbe stato raggiunto a Torvajanica e contro la sua villa sono stati esplosi 28 colpi di arma da fuoco. Prima sarebbero state lanciate invece due bombe in uso all’esercito italiano (episodio che non fu denunciato).
Ai fratelli Gangemi furono sequestrati anni fa 30 milioni di euro nell’ambito di una indagine per evasione fiscale. Sequestro confermato anche in Cassazione.