Fondi, “Lettere dagli occhi”: il libro sulla SLA “scritto” dallo sguardo di Mena Quinto

Un libro che si apre con i disegni dei suoi piccoli nipoti, tra astrattismo, realismo e samurai: ognuno di loro vede la malattia con occhi diversi. Mena Quinto è malata di SLA, vive a Fondi e da 4 anni combatte la sua battaglia da un letto e un respiratore. Oggi muove soltanto gli occhi e con quelli comunica, con quelli ha scritto il libro “Lettere dagli occhi”.

Il volume sarà presentato per la prima volta a Fondi sabato 7 gennaio alle ore 18.30, a Palazzo Caetani, e vedrà la partecipazione di molte realtà a sostegno della ricerca e della informazione sulla SLA. Apriranno la serata “Gli Incredibili”, il gruppo musicale della Fraternità del Monastero di San Magno il cui “frontman” è il parroco don Francesco Fiorillo, e l’Arcivesco della diocesi di Gaeta Mons. Luigi Vari, biblista che ci parlerà di quanto va “Oltre la sofferenza”. Testimonianze saranno quelle dalla viva voce di Andrea Zicchieri, un giovane di Terracina anch’egli colpito dalla stessa malattia di Mena, e da Maria Di Nata, moglie del compianto artista Adelchi De Filippo scomparso qualche anno fa proprio dopo aver lottato contro la SLA. Del contenuto del libro parleranno il dott. Paolo Fiore, medico scrittore che ha conosciuto Mena e seguito altri casi di affetti da sclerosi laterale amiotrofica, e Simone di Biasio, che ha curato il volume e scritto la postfazione e che leggerà passi delle lettere accompagnato dal giovane pianista Luca Prost. Saranno presenti gli editori Donatella Amati e Ugo Magnanti e le istituzioni, dal Sindaco del Comune di Fondi Salvatore De Meo al suo Assessore ai Servizi sociali Dante Mastromanno.

L’evento, che è stato intitolato “TraSLAzioni emotive” per via dei numerosi interventi e differenti momenti previsti nella serata, è organizzato dal Centro Diurno “L’Allegra Brigata”, i cui ragazzi seguiti hanno persino girato un video in città per chiedere ai cittadini se sapessero cosa fosse la SLA, e sarà coordinato dalla psicologa dott.ssa Angela Carnevale.  Mena Quinto aveva questo desiderio di pubblicare le sue lettere che ora si è realizzato, ma ne ha sùbito un altro: devolvere una parte del ricavato dalla vendita di libri ad altre persone affette da SLA che hanno bisogno di un sostegno economico e con cui lei stessa è in contatto.

Il libro. Gli occhi, dunque. Quante cose non ci sembrano vere se non le vediamo? Mena crea ogni cosa, i sentimenti pure, da quello sguardo e compone parole e frasi attraverso la lavagna Etran, un pannello di plastica trasparente su cui sono divise in quattro gruppi le lettere dell’alfabeto: lei con gli occhi “letteralmente” colpisce i suoni che vuole comunicare e pian piano li raggruppa a formare un senso. Tutto questo non sarebbe possibile senza l’aiuto forte e disperato di familiari ed infermieri, grazie ad una assistenza lunga tutto il giorno. Mena ha paura, ad esempio, se chi fa il turno di notte si addormenta accanto a lei: come farebbe a comunicare se dovesse presentarsi quealche problema? Chi potrebbe notare il suo sguardo che si piega e tocca, come una mano invisibile?

In queste lettere passano lo strazio e la gioia di vivere, le cose più semplici e il racconto della malattia, persino l’ironia. «Questa malattia – scrive Mena – non mi permette neanche di piangere, perché non posso asciugarmi le lacrime: mi vanno nelle orecchie e mi fanno male. Se c’è una mosca o una zanzara in casa sempre da me vengono, e io non posso farci niente. Non posso più ridere con i miei nipoti, perché mi si vede la saliva. Ho fatto il botulino, ma non è servito a niente!». Mena non risparmia di parlare di malasanità, di medici senza un cuore, di personale sanitario tutt’altro che competente. Ma descrive anche tutte le splendide persone che le sono accanto, i medici più accorti, gli infermieri che fanno quel lavoro come una vocazione. E poi racconta anche di quando sogna di mangiare di nascosto, riempirsi le tasche di noccioline, lei che ha dovuto subire la tracheostomia: è come se sia sempre qualcun’altro a decidere cosa e quando mangiare, e le pietanze – per usare un eufemismo – non sono certe così variegate.

Il libro ha la prefazione di Paolo Fiore, medico e scrittore, grande amante della storia e della filosofia, la persona migliore per aiutarci a capire che «“la parola è piena solo se incontra la benedizione dell’ascolto dell’Altro”, direbbe Lacan, e così, mentre noi intorno continuiamo a parlare, i suoi occhi reclamano, ancora una volta, i nostri perché il linguaggio con lei passa attraverso lo sguardo. Ed il codice è fatto di traiettorie che si incontrano su quella plastica che ci divide e ci unisce insieme. Ci impone l’impegno della traduzione, un’ermeneutica che si fa voce attraverso la nostra bocca passando per i suoi occhi».