La capitana Carola e gli insulti sessisti degli ultimi ominidi

carola

Da quando la Sea Watch 3 si è presentata davanti le coste italiane, con i 43 migranti a bordo, sulla capitana Carola Rackete abbiamo sentito le cose peggiori. Una macchina del fango culminata negli insulti sessisti della peggior specie.

Chi li ha mossi contro di lei, non avendo o non sapendo esprimere un’idea diversa dalla sua in un confronto civile ha scimmiottato i peggiori istinti umani rivolti a una ragazza di soli 31 anni che ha dovuto prendere una decisione molto difficile, che ha coinvolto lei e la stessa Ong per la quale lavora.

Augurare uno stupro ad una ragazza di 31 anni è talmente aberrante che non andrebbe neanche considerato, se non perché rappresenta purtroppo un modo di pensare di una parte della popolazione italiana sulla quale è necessario lavorare davvero molto, nelle famiglie, a scuola, perché certi retaggi possano finalmente essere cancellati. Certi ominidi quel giorno dovevano essere almeno allontanati. Solo una signora, che si stava vergognando, ha chiesto loro di non parlare così.

Alcuni credono ancora, che vada punita così una donna che pensa, che agisce, indipendente, che non si fa intimorire. Indipendentemente da una scelta giusta o sbagliata che fa. Carola a 31 anni, si è presa la responsabilità delle sue azioni. Dopo aver subito pressioni da più parti, dopo aver atteso giorni che qualcosa si muovesse, perché potesse fare ciò che ritiene giusto, vale a dire portare in salvo 43 vite umane, ha preso l’unica decisione per lei possibile. Per questo è stata arrestata e ha perso la nave con la quale porta avanti la sua battaglia.

Non bastava: il fango lanciato sulla sua persona è stato impietoso. “Strafottente, figlia di papà, radical chic” sono solo alcune delle accuse meno gravi. Qualcuno è arrivato a dire, ed altri a far girare, la notizia falsa che suo padre fosse un trafficante di armi in Africa.

Per non parlare di chi continua a sostenere che le Ong (Organizzazioni non governative), siano al soldo dei trafficanti di esseri umani. E allora magari come al solito i numeri e la magistratura ci possono venire in soccorso. Intanto la procura di Palermo ha archiviato due indagini sulle Ong Sea Watch e Proactiva Open Arms. “Non si ravvisano – hanno detto i pubblici ministeri – elementi concreti” per ipotizzare legami “tra i soggetti intervenuti nel corso delle operazioni di salvataggio a bordo delle navi delle Ong e i trafficanti operanti sul territorio libico”. Queste inchieste erano state accolte come la rivelazione di qualcosa che tutti sapevano, eppure almeno a quanto sembra, non ci sono elementi a supporto di questa tesi.

Secondo quanto scrive Alberto Magnani su “Il Sole 24 Ore” non ci sarebbero prove in questo senso. Le Ong che nel 2017 erano 12 sono scese a 4. Secondo l’Istituto per gli studi di politica internazionale, Ispi, la loro incidenza sui salvataggi è passato dall’1 per cento nel 2014 al 41 per cento nel 2017.

Sempre secondo l’Ispi, non esiste una correlazione dimostrata tra le attività di salvataggio (quante persone sono soccorse in mare) e la propensione a partire. Insomma le Ong, non sarebbero il vero problema. Anche perché gli sbarchi a Lampedusa ci sono ogni giorno. I porti non sono chiusi. Lo dice il sindaco di Lampedusa, Totò Martello, che a Roma ha spiegato che nessuno sull’isola è spaventato e si continuano ad accogliere migranti. Dice anche che “nessuno ne parla finché non arriva una Ong“. Questo però sui social non si trova, per conoscere altri punti di vista bisogna fare una ricerca “faticosissima” sul web.

Il problema è l’Unione europea che lascia l’Italia sola a prendersi cura dei migranti? Allora è a Strasburgo che la questione va posta, non in mare aperto, con 43 persone già stremate da un viaggio senza fine in cui alcuni di loro hanno subito una serie indescrivibile di abusi e che non possono scendere a terra e trovare un po’ di cibo e un posto dove riposare.

Il diritto internazionale che dispone l’obbligo di salvare le persone in mare in difficoltà è superiore a quello del singolo Stato ed è quello che va applicato. È una questione di fonti del diritto e di gerarchia delle fonti. Alzare muri, chiudere porti non è e non può essere la soluzione. La storia non ce lo ha ancora insegnato?