Non è una proposta al ribasso, ma una rimodulazione del progetto originario, essendo cambiate negli anni parecchie condizioni. Primo tra tutti l’impegno di Fondazione Roma, diventata nel frattempo Fondazione Sanità e Ricerca, che, ma è stato scoperto solo dopo, avrebbe dovuto gestire il Centro per trent’anni senza un piano economico. Difende la sua scelta il sindaco Damiano Coletta, nella conferenza stampa indetta questa mattina per chiarire dubbi e polemiche che il Centro di alta diagnostica alimenta e trascina ormai da mesi. Accanto a lui Giorgio Casati, direttore generale della Asl.
Le condizioni possono cambiare, affermano tutti e due, perchè è la stessa scienza che cambia. Non sta certo ferma ad aspettare che si concludano lavori e pareri diversi. O diatribe. Ed è proprio per sanare i diverbi dei tanti che la pensano diversamente, che Coletta vuole ripartire dall’inizio di tutta questa storia. Un inizio tranquillo, da cui però in poco tempo nascono diverbi e tensioni. Si è vero, la storia è intricata e non facile da capire, ma nasce da una cosa molto semplice: collocare nell’ospedale alcune apparecchiature molto sofisticate, che avrebbero potuto essere utilizzate anche dall’Università per la ricerca avanzata. Non essendoci però lì, locali idonei, qualcuno pensò di riadattare dei ruderi vicini all’Ateneo e dare vita così a un Centro di alta diagnostica. Comune, Provincia, Regione e Fondazione Roma, fondazione di origine bancaria che finanzia vari progetti sociali, si siedono intorno a un tavolo e progettano un Centro che dovrebbe diventare il “fiore all’occhiello” della sanità regionale e non solo. Si dà il via ai lavori. Ma la situazione ben presto muta. Soprattutto quando la Regione vieta l’installazione del tomografo nella sede prescelta per mancanza di requisiti. “A quel punto, chiede Coletta, io che sono il coordinatore, cosa avrei dovuto fare? Mi prendo in mano la rogna e cerco soluzioni diverse”. “Ma la vulgata va subito all’attacco dicendo che non si devono accettare piani al ribasso. Ma, chiede, è davvero un piano al ribasso questo? Noi ne abbiamo discusso molto con gli esperti. E non è così. Di fronte a tutto questo, ho quindi deciso di coinvolgere la Asl e il direttore Casati”. E la soluzione dopo tanto discutere è stata quella di riportare tutto da dove eravamo partiti: qui in ospedale. L’Università non ha opposto resistenza. E neanche gli altri. Ci abbiamo lavorato tanto in questi mesi e la bozza di accordo che ne è scaturita, sarà discussa nel prossimo consiglio comunale. La Provincia uscirà dal tavolo e riavrà indietro i suoi soldi. Il progetto finale che ne è venuto fuori ha più valore del precedente. Fondazione Roma manterrà la promessa e investirà i 13 milioni di euro per acquistare il tomografo RM 3T, la Tac Force e in più una sala ibrida, voluta fortemente dal direttore della Asl di Latina Giorgio Casati.
Che cosa è la sala ibrida, lo spiega poi il direttore. Si tratta di una sala operatoria dotata di dispositivi avanzati e viene usata principalmente in cardiochirurgia. Nella nostra regione esiste solo al Gemelli.
Ammette Casati di essere stato molto perplesso quando è stato chiamato dal sindaco. Ma ha capito subito che sarebbe stata questa una grande opportunità per l’ospedale di Latina. L’occasione per far diventare il Goretti un ospedale di alta diagnostica, uno dei migliori ospedali della regione. Ne sono convinti tutti e due. La strada è stata dunque tracciata. I pareri ci sono. I soldi anche. Mancano solo le firme per far diventare il Goretti una grande “opportunità” per questa città.