Latina, l’uccisione del ladro infuoca il dibattito sui social: ecco le opinioni di due colleghi di Palumbo

Gli inquirenti nel condominio del delitto

“Ascolto e leggo la solita litania dei commenti che seguono ad episodi come quello accaduto a Latina e che nella quasi totalità dei casi tendono ad inveire contro uno ‘Stato che non ci protegge'”. L’avvocato Vincenzo Coccia di Terracina è tra i tanti ad interviene in queste ore sul dibattito riesploso sui social a margine dell’uccisione del ladro, per mano dell’avvocato Francesco Palumbo, sorpreso a rubare, domenica pomeriggio in via Palermo a Latina.

“Inveire contro uno Stato che non ci protegge: dietro questa affermazione – entra nel merito Coccia – si cela in realtà l’aspirazione di molti a veder garantiti spazi di impunità a condotte che ad esclusivo giudizio degli stessi non si tradurrebbero in fattispecie di reato poiché poste in essere a ‘legittima difesa’ dei propri interessi, quale ad esempio la tutela della proprietà privata, o della propria integrità psico fisica. A costoro mi sento di dire che dal far west, dalla più evoluta – ma pur sempre indegna – legge del taglione ci siamo affrancati da tempo e per fortuna, introducendo un sistema di regole, codici, i cui articoli sono stati pensati e scritti in ragione di principi che sono esattamente il contrario di quelli sottesi alle logiche che animavano i pistoleri del far west o gli antichi che per evitare le faide ricorrevano all’applicazione della legge del taglione”. Coccia afferma che la legittima difesa è sancita dall’articolo 52 del codice penale e che si basa “sul criterio della proporzionalità tra l’offesa e la difesa”. “Potrà non piacere, a me piace moltissimo – scrive l’avvocato -, ma è un principio che fu codificato dal diritto giustinianeo e che ci rende un paese giuridicamente evoluto rispetto a derive di giustizia sommaria o fai da te che in molti vorrebbero invece rispolverare”. Per tutti, conclude Coccia, vale il principio della presunzione di innocenza. “Fino a quando la sentenza non sia passata in giudicato, anche se in questo caso non si discute se il collega abbia o meno commesso il reato ma solo sulla qualificazione giuridica della sua condotta”, conclude Coccia.

“Bisogna passarci o parlare chi ha subito questo supplizio per capire (io l’ho fatto)”, è invece il commento di un altro collega di Palumbo, l’avvocato Bruno Bellassai che interviene su Facebook. “Può succedere che ci si debba difendere e che non bastino le mani o qualche attrezzo – afferma -. Non si può impedire alla gente di difendersi e non si può far finta che tutto vada bene perché non è così. La nostra anagrafe ci consente di ricordare quando le porte erano chiuse con chiavistelli da 2 lire e non si blindavano le case come fortezze. Ora non si fa che aggiungere ‘difese passive’ (così si chiamano) ma può non bastare. E non si diventa per questo pistoleri o sceriffi o guerrafondai o cos’altro. Io Francesco (l’avvocato ora indagato per omicidio volontario, ndr) lo conosco bene. Un mite che il pregiudizio sta provando a trasfigurare in ciò che si vuole sia mentre non è. Che lo facciano i tendenziosi gli ideologici i livorosi quelli perennemente contro (cosa?). lo sopporto, ma non menti superiori con la capacità di sublimazione del reale. Liberiamoci dagli schemi altrimenti ne resteremo inesorabilmente prigionieri. La realtà è la realtà e va affrontata per ciò che nel bene e nel male ci offre”.