Latina, scuola di Borgo Carso: in una lettera aperta la lezione a sindaco e Lbc

Claudio Buongiorno

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera aperta indirizzata al sindaco, agli assessori e ai consiglieri del Comune di Latina sul caso della scuola di Borgo Carso. La lettera è a firma di Claudio Buongiorno, 19enne di Latina, che in parte replica anche all’ultimo comunicato degli esponenti di Latina Bene Comune sull’argomento (qui il documento di Lbc a firma dei consiglieri Aramini e Leotta e del segretario Gava).

 

Egregio Signor Sindaco Damiano Coletta,
Assessori e consiglieri del Comune di Latina,

Vi scrivo in merito alla vicenda della scuola di Borgo Carso, che di recente ha generato discussioni in città. Vi scrivo da cittadino, ma anche da iscritto e sostenitore di Latina Bene Comune, da prima delle elezioni e ancora oggi. Credo che su questa vicenda tante siano state le strumentalizzazioni, purtroppo anche da parte di alcuni di noi appartenenti a Latina Bene Comune e persino di voi amministratori.
Ritengo che tutta la vicenda vada inserita in un contesto ancora più ampio dell’ormai sterile dibattito scuola pubblica-paritaria-privata, in cui spesso molti si schierano più per appartenenza ideologica che per conoscenza e valutazione critica del fenomeno. Invito quanti siano interessati a leggere un articolo del Sole24Ore (che non è precisamente il giornale dei Vescovi) sul tema dell’economicità delle scuole paritarie al link http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-05-25/scuole-paritarie-diritto-risparmio-082315.shtml?uuid=AbVCb4yH&refresh_ce=1.

In realtà, il contesto della scuola di Borgo Carso e delle altre 6 scuole comunali in gestione a congregazioni religiose femminili è ben altro. Questi 7 istituti sono a tutti gli effetti scuole pubbliche, di proprietà e di gestione comunale, in cui il gestore, il Comune appunto, ha affidato tramite convenzione (l’ultima revisione è risalente al 98’) la gestione a un ordine religioso. Non si tratta certo di un unicum nel panorama educativo nazionale: tante istituzioni scolastiche per bambini non ancora nel periodo della scuola dell’obbligo non sono gestite direttamente dallo stato. Infatti nel 2000 il 48% delle scuole in questa fascia d’età non era statale, secondo dati del MIUR. Nel caso latinense si tratta però di scuole pubbliche: dire il contrario porterebbe logicamente all’assurda affermazione che i servizi comunali non siano servizi pubblici solo perché non statali.  Queste 7 scuole, ogni anno, devono presentare un’ampia documentazione allo stato per essere parificate, un processo con il quale si conferma che l’attività educativa svolta all’interno dell’istituto è equipollente a quella svolta in una qualsiasi scuola statale. E questo varrebbe anche per una laicissima scuola provinciale o regionale, costituita per sopperire a carenze educative di una specifica zona. Proprio questa necessità, nel passato, ha portato alla nascita di questa scuole, alcune, come quella di San Marco, presenti sul territorio latinense fin dagli anni della fondazione. A volere essere precisi le 7 scuole sono gli istituti di San Marco (Latina centro), Santi Innocenti (Borgo Carso), Santa Maria Goretti (Le Ferriere), Pio XII (Borgo Faiti), Pio IX (Borgo Grappa), Madonna di Fatima (Borgo san Michele) e Borgo Podgora. In queste scuole non si paga alcuna retta, proprio come in una qualsiasi altra scuola pubblica. Diverso è il caso delle scuole private paritarie del Preziosissimo Sangue (che ha chiuso poco tempo fa) e dell’Istituto Madre Giulia Salzano, che, appunto essendo private, ricevono un contributo pubblico solo se la loro retta è minore di una soglia fissata dallo stato.

Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi-didattici, ho trovato che la nota scritta dai consiglieri Aramini e Leotta e dal segretario Gava quantomeno insinuasse nel lettore il dubbio che in queste scuole comunali paritarie l’attività didattica si svolgesse senza “la presenza di una comunità professionale”, senza “un linguaggio comune” e “un lessico attento alle esigenze formative dell’alunno”, senza “organi collegiali” e persino senza “identità istituzionale e professionale sicura ed affidabile”. Da queste scuole, che oserei a questo punto definire terrificanti, che alunni potrebbero uscire?

Purtroppo, le uniche affermazioni sottoponibili a fact-checking nel documento sono la prima e la sesta che effettivamente individuano due potenziali problematiche di queste scuole. La presenza di un istituto comprensivo porta ovviamente a programmare un passaggio graduale verso la scuola primaria ma sarebbe ingiusto non ricordare che, in questi anni, le scuole paritarie comunali si sono interfacciate spesso con le scuole primarie vicine creando sinergie e permettendo ai bambini un passaggio di scuola sereno e agevole. In secondo luogo, la differenza in termini di ore e di numero di insegnanti è ovviamente un vantaggio per la scuola statale ma (anche qui c’è un ma!) vorrei valutare la questione in termini anche economici, cosa che faremo più avanti. Certo è che non è colpa della scuola comunale in sé se il Comune prevede 6 ore e non 8 di insegnamento!

Tuttavia, nella suddetta nota e in altre sedi, si è fatto riferimento spesso al costo di queste scuole per il Comune: quasi 1.000.000 di euro, ricevendo dallo stato un contributo di soltanto 250.000 euro. In tempi di magra come questi, le scuole paritarie comunali sembrano l’oggetto ideale per la spending review. In realtà nella nota non si fa riferimento ai costi che la collettività sosterrebbe per queste scuole: sembra quasi che verrebbero regalate ai cittadini! Se fossero statalizzate, le pagherebbe lo stato e non il Comune… ma i soldi sono sempre del contribuente, o no? Anzi, paradossalmente, i costi lieviterebbero (se non si è ancora letto l’articolo del Sole24Ore è il momento di farlo!).

Qualcuno potrebbe dire che siamo nel 2017 ormai e che appare fuori dal mondo che il Comune (e quindi che il pubblico) si accolli gli stipendi non solo del personale ma anche dei religiosi presenti nelle scuole. Anche qui occorre fare chiarezza. Innanzitutto le suore sono stipendiate dal Comune soltanto se insegnati o dirigenti. La Suora che sta in portineria, ad esempio, non riceve alcuno stipendio. I più attenti diranno: le altre vengono pagate! Sì è vero. E mi vergogno quasi a dire che le suore che insegnano in questi asili ricevono (udite, udite) la bellezza di 564 euro netti al mese! La metà di quanto guadagnano le insegnanti comunali e sempre molto meno di quelle assunte annualmente tramite le coop. A questo ovviamente vanno aggiunti l’alloggio, gratuito, e un contributo annuale per il vitto di meno di 2000 euro per religiosa presente nella casa. Facendo due conti una comunità di quattro suore con due insegnanti e due non insegnanti, riceve al mese 1786 più l’alloggio e le utenze. Significa 446 euro a persona. Per l’ISTAT nel 2015 un nucleo familiare composto da 4 persone nel centro Italia (due adulti under 60 e due anziani over 60) vive sopra la soglia assoluta di povertà se ha più di 1840,88 euro al mese. Insomma mi viene da dire meno male che hanno fatto voto di povertà e non possono reclamare un aumento salariale! A tutto questo si aggiunga anche che a queste scuole non viene fatto alcun trattamento di favore: manutenzione e sicurezza, come in altri plessi, sono assolutamente carenti così come il personale, ridotto al minimo (a queste mancanze suppliscono le stesse suore). Per di più, la convenzione, nonostante la scuola sia pubblica (e questo significa che non esiste alcune retta e neppure una selezione degli studenti arbitraria delle suore!), prevede che, in caso di mancanze del Comune nel finanziamento alle attività integrative, siano i genitori a pagare.

Abbiamo parlato di soldi e di aspetti didattico-organizzativi, ora vorrei soffermarmi per un attimo sugli aspetti educativi. Affermare che la scuola sia il secondo centro educativo dopo la famiglia è sacrosanto. Affermare che sia l’unico è pericoloso. Le scuole comunali gestite dalle suore hanno il pregio di inserire i ragazzi in un percorso formativo terzo, che, non escludendo la scuola, fa crescere il ragazzo nella totalità della sua persona. No, non parlo del catechismo, che comincia tra l’altro 2 anni dopo la fine della scuola materna e per il quale manca quindi una continuità nei fatti. Parlo dell’educazione alla fraternità e al gioco, alla convivenza civile e alla solidarietà, che oratori, parrocchie e comunità religiose (a cui questi asili sono collegati) insegnano ai giovani. I ragazzi (e le loro stesse famiglie) che si trovano ad interagire con le scuole comunali paritarie vivono anche queste realtà. Per di più, in piccole comunità come i borghi queste scuole e le comunità religiose presenti diventano dei punti di riferimento, una storia comune a tutti i cittadini. Altrimenti non si spiegherebbero le code interminabili per iscrivere i propri figli in queste scuole pubbliche comunali, preferendole alle pubbliche statali.

Il sottoscritto è stato alunno di una di queste scuole (quella di San Marco gestita dalle figlie di Maria Ausiliatrice dal 1983). Sono, insomma, una testimonianza diretta, insieme a tanti altri ragazzi di Latina, della bontà (spero!) o meno dei loro percorsi educativi.

Ed eccoci giunti al termine di questa mia riflessione. A mio parere, di esterno all’amministrazione interessato in quanto cittadino, occorre da parte dell’amministrazione e di Latina Bene Comune più chiarezza. Chiarezza per le comunità di quartiere o di borgo che queste scuole servono ma anche chiarezza per persone (perché anche le suore sono persone!!) che stanno dedicando la loro vita, in ogni singolo momento, al nostro territorio e al nostro futuro: ai bambini. Chiarezza significa una presa di posizione del movimento, che non valuti soltanto le istanze, del tutto legittime beninteso, di chi si schiera a favore della statalizzazione ma di tutta la comunità cittadina. Chiarezza significa rinnovare una convenzione che risale al ’98 e che lascia tante zone d’ombra e dà adito a incomprensioni e incertezza continua: queste persone sono ogni anno messe di fronte al dilemma “il Comune ci finanzierà?”. Che progettualità si può pretendere da questa instabilità?  Chiarezza significa comunicazione istituzionale chiara e non un tam-tam mediatico in cui ognuno di noi e di voi dice la sua creando dubbi e risentimenti, a dire la verità, del tutto giustificati. Siamo partiti dal basso, facciamo attenzione a non dimenticarlo!

Se nel nostro programma non v’era riferimento alcuno alle scuole comunali né nel senso della loro chiusura ma neppure nel senso di un loro sostegno, occorre ora che LBC faccia una scelta di campo, uscendo da steccati ideologici stantii e incomprensibili e guardando a tutti gli attori di questa vicenda. La vicenda di borgo Carso è stata un’emergenza, improvvisa e imprevista, e come emergenziali vanno considerate le scelte dell’amministrazione. Ma ci sono altre 6 scuole, con comunità religiose che attendono (per quanto ancora?) dal Comune una scelta chiara. Non si tratta ovviamente solo di un risparmio.


Capisco che per i dirigenti scolastici degli istituti comprensivi sarebbe un bel colpo di fortuna trovare altri 6 istituti da inserire nel percorso didattico ma mi chiedo se sia un bene per i bambini, per le famiglie e per la comunità intera. Forse nel pensare alle ideologie e alle economie ci dimentichiamo che nella realtà ci sono persone specifiche con un volto e una storia. E, in fondo, la storia di queste scuole è la storia di ognuno di noi latinensi. È un nostro patrimonio.

 

Claudio Buongiorno