“Gli atti che fanno parte di questo procedimento finora sono stati coperti da segreto investigativo, dopodiché adesso ognuno prenderà le sue determinazioni”. Così questa mattina Michele Prestipino Giarritta, procuratore aggiunto della Dda di Roma a margine della conferenza stampa sull’operazione Alba Pontina, rispondendo alla domanda di un giornalista che chiedeva come mai a seguito dei reati elettorali previsti dal Codice Antimafia e contestati al clan Di Silvio, le amministrazioni comunali “investite” dalla compravendita di voti non erano state sciolte. Chiedeva il giornalista come mai non vi fossero state iniziative da parte della Prefettura. Il procuratore Prestipino, nella sua risposta, non ha escluso che, superata la fase del segreto istruttorio, possano essere prese decisioni in tal senso.
Le indagini che oggi hanno portato all’arresto di 25 persone, sette delle quali accusate dell’aggravante mafiosa, sono state avviate due anni fa e riguardano per lo più il sistema delle estorsioni messe in campo dal gruppo criminale di Latina, appartenente dalla famiglia Di Silvio, ormai stanziale nel capoluogo da generazioni, in danno a commercianti, imprenditori e perfino noti avvocati, il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Poi ci sono i reati elettorali.
Il modus operandi del clan Di Silvio – spiega una nota stampa della Questura – ha mostrato forti analogie con le mafie tradizionali anche in relazione alla capacità di gestione delle campagne elettorali di diversi candidati alle consultazioni amministrative del 2016 nei comuni di Latina e Terracina, per il tramite di alcuni affiliati ovvero intervenendo anche direttamente. Alcuni uomini del clan, infatti, tra cui un sorvegliato speciale, in violazione dell´articolo 76 del Codice Antimafia, hanno gestito la propaganda elettorale in favore di alcuni candidati, provvedendo, dietro compenso, all´affissione dei manifesti elettorali, e potendo in tal modo imporre la prevalenza di quelli “sponsorizzati”, grazie alla propria caratura criminale.
Le indagini hanno fatto emergere anche molti casi di compravendita di voti in occasione dello stesso periodo elettorale, in cui esponenti del clan hanno costretto, dietro minaccia, numerosi tossicodipendenti ad esprimere la propria preferenza in favore di alcuni candidati alle elezioni comunali di Latina, ricevendo in cambio un compenso in denaro da parte dei committenti ovvero di loro intermediari. “Trenta euro a voto”, ha precisato in conferenza stampa il procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Roma.
Restando in questo contesto investigativo, sarebbe emerso, dunque, uno spaccato preoccupante di spartizione criminale delle attività elettorali, attraverso la quale i Di Silvio sarebbero riusciti a monopolizzare la propaganda di molti candidati, spesso imponendo i propri servizi altre volte vendendo i consensi degli elettori residenti nelle zone della città ricadenti sotto il loro controllo.
Secondo quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia Renato Pugliese, i manifesti elettorali venivano tenuti nascosti in una stalla non lontana dall´abitazione del capoclan, nel quartiere Campo Boario, mentre in un´intercettazione, Gianluca Di Silvio, figlio di Armando, considerato il capoclan, affermava di essere stato pagato per acclamare un candidato nel corso di un comizio elettorale insieme ad altri soggetti.
Top secret da parte degli inquirenti sui candidati coinvolti in questa parte dell’inchiesta, ma le parole del procuratore aggiunto della Dda rinviano ad eventuali iniziative da parte della Prefettura. Una nota dolente nella politica delle due realtà locali, in particolare Latina, in cui sarebbero stati perpetrati i reati elettorali. A margine della stessa conferenza stampa il dirigente della Squadra Mobile di Latina, il vice questore aggiunto Carmine Mosca, rispondendo alle domande dei cronisti locali, ha escluso il coinvolgimento il questa inchiesta dell’ex deputato di Fratelli d’Italia Pasquale Maietta, arrestato nell’ambito dell’operazione Arpalo, “ridimensionando” la portata dei reati elettorali emersi nell’indagine, atteso che i candidati sponsorizzati alla fine non sarebbero stati eletti. Un dettaglio che non collima alla perfezione con le dichiarazioni del Pm Prestipino Giarritta. Forse la risposta è nel nome dell’operazione odierna, Alba Pontina: alba perché consentirà nelle investigazioni un approccio più strutturato nell’azione antimafia su questo territorio abitato dall”organizzazione criminale a cui oggi è stata data la connotazione di clan mafioso autoctono; alba come l’inizio di un nuovo giorno o l’avvio, la partenza di un’azione ferrea di ripristino della legalità.
Il video della conferenza stampa di questa mattina