Omicidio Boschin, troppi silenzi dopo riapertura indagini. Tirati in ballo Chiesa, giornalisti e sindaco di Latina

Don Cesare Boschin e lo scrittore pontino Felice Cipriani

“Chi ha paura di don Cesare Borschin?”. E’ l’interrogativo posto da Felice Cipriani, autore del libro “Lo strano delitto di don Cesare Boschin” sull’uccisione del parroco di Borgo Montello.  Un omicidio efferato, avvenuto nella notte tra il 29 e 30 marzo 1995, nella sua camera da letto al piano superiore dei locali della parrocchia Santissima Annunziata, nel cuore del borgo alle porte di Latina.

Il delitto di 22 anni fa

Il corpo esanime del sacerdote fu ritrovato dalla perpetua con mani e piedi legati e una corda intorno al collo. L’autopsia stabilì la morte avvenne per soffocamento provocato dalla dentiera ingoiata a seguito di percosse. Le indagini dell’epoca batterono la pista della rapina finita male, anche se in realtà l’unico oggetto prezioso rubato fu l’agenda di don Cesare (sette milioni di vecchie lire furono ritrovati in una scatola riposta nell’armadio). Una rapina, fu ipotizzata, maturata nell’ambito di presunte frequentazioni omosessuali del sacerdote. Il delitto restò impunito. A nulla valsero le “notizie” offerte dai parrocchiani e dal comitato contro la discarica di Borgo Montello sull’attività di don Cesare volta a fare luce su misteriosi traffici di rifiuti in difesa dei cittadini e dell’ambiente dell’amatissimo borgo dove era giunto nel 1950 per occuparsi della ricostruzione della chiesa dedicata alla santa Bambina, nel vicino borgo de Le Ferriere dove Maria Goretti morì martire.

La pista esclusa

A seguito di un intervento dell’associazione Caponetto che, ipotizzando un filo rosso di questa provincia, legava insieme tre delitti rimasti insoluti, quello di don Cesare e quelli degli avvocati Mario Maio (7 luglio 1990) e Enzo Mosa (2 febbraio 1998) avvenuti ad Aprilia e a Sabaudia, nell’aprile del 2009 il quotidiano “La Provincia” ridiede sfogo a quelle “notizie” rimaste in disparte che vedevano il sacerdote di Borgo Montello al centro di un’attività civica improntata alla legalità. La lente, di don Cesare e del comitato, sui rifiuti scaricati nell’invaso di via Monfalcone si fece in mille pezzi con il delitto in canonica. La paura di ulteriori ritorsioni portò il comitato a sciogliersi e a bruciare tutta la documentazione raccolta, raccontarono al borgo a distanza di anni. La storia, al di là dell’inchiesta, raccontata sulle colonne della Provincia fu ripresa da don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, già da tempo in contatto con gli amici del borgo di Cesare Boschin, che a luglio del 2009 in occasione di un pubblico convegno a Roma chiese davanti al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la riapertura dell’inchiesta sulla morte del parroco di Borgo Montello. A rimettere al centro del traffico dei rifiuti l’omicidio di don Cesare furono le dichiarazioni del pentito di camorra Carmine Schiavone in un’intervista rilasciata a Lazio Tv a novembre 2013.  Da allora qualcosa si è mosso. Tredici mesi fa sono state riaperte le indagini.

La riapertura delle indagini

La riapertura delle indagini è stata sollecitata dai famigliari di don Cesare, in particolare da Luciano Boschin, nipote del sacerdote, che lo scorso anno diede incarico all’avvocato Stefano Maccioni e alla criminologa Imma Giuliani per verificare se ci fossero stati gli elementi utili allo scopo. Poi a giugno 2016 la notizia dell’accoglimento dell’istanza da parte della Procura di Latina.

Gli interrogativi di Cipriani

Nonostante le nuove attività di accertamento in corso, lamenta Cipriani che lo scorso anno ha pubblicato il libro inchiesta sulla morte di don Cesare, “non si riesce a capire perché, a 15 mesi dalla sua pubblicazione e a 13 dalla riapertura dell’inchiesta, ci sia tanta incertezza, ambiguità, attendismo, attorno alla tragica vicenda di Boschin”. Il giornalista-scrittore pone oggi una serie di interrogativi che gettano ombre su quella che fino a qualche mese fa sembrava una volontà diffusa di fare luce sul delitto di 22 anni fa. E tira in ballo la Chiesa, colleghi giornalisti e il sindaco di Latina Damiano Coletta.

I silenzi della Chiesa

Ci troviamo di fronte a un mistero vaticano pontino? Cipriani, che afferma di conoscere le procedure della Segreteria di Sato Vaticano, trova singolare il fatto che monsignor Alberto Parolin, ad esempio, non gli abbia inviato due righe di ringraziamento per il libro che aveva fatto avere a gennaio di quest’anno per Papa Francesco. E insiste: “Perché il Vescovo di Latina dopo aver emesso un comunicato di apprezzamento per la riapertura delle indagini non ha accolto la richiesta d’incontro dell’avvocato Stefano Maccioni, che ne era stato il maggior protagonista?”. Cipriani parla anche di un improvviso silenzio anche da parte di don Felipe Gil, vice parroco di don Cesare: “Non si fa più vivo da gennaio, quando prima e settimanalmente mi inviava brani del vangelo, frasi di Papa Francesco e parabole. Perché?”. “Perché Riccardo, un giovane della parrocchia di Santa Chiara – domanda Cipriani -, un anno fa mi telefonò per richiedermi di presentare il libro a Latina perché loro erano impegnati nell’intitolare la piazza antistante la chiesa di Santa Chiara a don Cesare, e dopo pochi giorni non si è fatto più vivo?”

Sui giornalisti

Cipriani afferma che una giornalista che si è interessata nel passato dell’omicidio e che ha fatto un bell’articolo sull’uscita del suo libro ha deciso con la riapertura delle indagini di non scriverne più. Perché? Domanda lo scrittore che aggiunge: “Perché Paolo Iannuccell ha scritto nei giorni scorsi, che la Dia di Napoli starebbe indagando sui conti correnti di don Cesare, quando questa indagine è stata fatta al dettaglio 21 anni fa? Io posso fornire la destinazione di quelle somme sui conti correnti di don Cesare. Il mistero resta solo sui 7 milioni di vecchie lire ritrovati dopo nella scatola delle camicie e che nessuno aveva visto. Ce li ha messi qualcuno dopo il delitto?”

Del sindaco

Cipriani afferma che in campagna elettorale Damiano Coletta (oggi sindaco di Latina) annunciò che avrebbe fatto intitolare una strada o una piazza a don Cesare. Cipriani ricorda di aver consegnato a Coletta, diventato sindaco, una petizione sottoscritta da mille persone utile allo scopo. “Come mai ancora non c’è stata alcuna intitolazione alla memoria di don Cesare?” domanda Cipriani. “Anzi – domanda Cipriani – nella giornata della Memoria contro le mafie non mi fece avere l’invito alla cerimonia promossa dal Comune come spettatore.  Perché sta accadendo tutto questo?”