L’aveva scritto sulla sua pagina facebook Saviano: “Spero che saremo in tanti a Latina, dobbiamo essere in tanti, per contrastare, guardandoci negli occhi e ragionando, chi minaccia di chiudere i porti e promette di armare (anche letteralmente) gli italiani, perché coltivare paure è infinitamente più facile che rimettere insieme i pezzi di un Paese lacerato. Perché per spaventare bastano poche parole, per costruire serve tanto impegno”. Gli hanno dato retta, tanto che la terrazza del Miramare era stracolma di gente. L’incontro organizzato per il festival “Come il vento nel mare” ha preso sempre più una definizione netta da quando Saviano e Salvini si sono cominciati a scontrare sul problema degli sbarchi. Tanto che Saviano pochi giorni prima di venir a Latina ha lanciato l’hashtag #primagliesseriumani. “Perché “prima gli esseri umani”? Perché non ne possiamo più di sentirci dire che bisogna pensare prima agli italiani e non perché degli italiani non ci importi nulla, ma perché siamo convinti che se un governo può impunemente smettere di tutelare i diritti anche di un solo uomo (italiano o non italiano), può impunemente smettere di tutelare anche i diritti di tutti gli altri”, dice lo scrittore.
Perché “prima gli esseri umani”? Perché è sempre pericoloso fare distinzioni tra noi e loro. Sono categorie destinate a ribaltarsi. Siamo stati “loro” tante volte e siamo stati maltrattati, vessati, schiavizzati, umiliati e anche uccisi. Abbiamo subito e sofferto e questo è un buon motivo per non fare lo stesso.
Perché prima gli esseri umani? “Perché è l’unica cosa sensata che possiamo opporre a chi dice prima gli italiani. Perché prima gli esseri umani mette al centro l’uomo con le sue storie e le sue sofferenze, con le sue esperienze e le sue speranze. E le speranze ci rendono, più di ogni altra cosa, tutti uguali”.
Sul palco insieme a Aboubakar Soumahoro e Massimiliano Coccia, giornalista di Radio Radicale e organizzatore del festival, prima delle navi, dei porti e delle ong, si è voluto ricordare Soumalya Sacko, il sindacalista ammazzato in Calabria in giugno. Abu, italoivoriano e laureato in sociologia, è anche lui un sindacalista che da anni si batte per i diritti dei lavoratori stranieri e si è fatto carico di riaccompagnare la salma del bracciante morto alla sua famiglia in Mali. La mamma di Soumalya ci ha accolto in lacrime, ha raccontato e ci ha detto: ”Non fermatevi. Dovete andare avanti”.
Questa storia rischia di essere dimenticata, sottolinea Saviano. Così come sono stati dimenticati i tanti altri sindacalisti morti in quelle terre. Sono terre pericolose e Soumalya è morto dove avevano “intombato” i rifiuti speciali. La criminalità usa i luoghi vuoti per smaltire i rifiuti e il sud, tutto il sud per loro deve essere riempito di monnezza. Quando Salvini, il ministro della Mala Vita, come lo definisce ormai, è andato a Rosarno, in prima fila con lui c’era gente “nota”. E lui che fa? Parla della baraccopoli. “Salvini devi dire qual è il tuo percorso”, lo sollecita. C’è in questo periodo una falsa narrazione della realtà e si concentra la capacità di elaborare quello che accade in brevi tweet o like. Si grida all’odio. Ma i processi migratori non potranno essere fermati. E sapete perchè? Perchè da qui al 2050, 143 milioni di persone fuggiranno per i cambiamenti climatici e 15 milioni per fame, dice lo scrittore tra l’incitazione e gli applausi dei presenti.
I flussi non potranno essere fermati. Ma vanno certamente gestiti.
Una volta arrivavano in aereo, perchè c’erano i visti per i lavoratori stagionali. Ora arrivano così perchè non c’è più la possibilità di arrivare più come prima. Non manca l’accenno allo jus soli.
Una cosa è chiara comunque: più sei ostile, più la criminalità organizzata ci guadagna. Chiama alla difesa Saviano. Non è più come come con Berlusconi. Ora regna la paura. Bisogna contarsi e tornare a fare comunità e a non “avere paura della merda che arriva sui social”. Sulle Ong: un massacro mediatico che ha del paradosso, dice. Sapete no, che la cocaina arriva a fiumi nei porti. Così come nei porti arrivano fiumi di denaro. Come mai per queste cose non si chiudono i porti?
Dietro i relatori c’è il mare: Su questa costa è arrivato Enea. Era un profugo. Questa terra è diventata negli anni una terra di lavoro in cui tanti veneti sono morti durante il fascismo per bonificare questa zona.
Coccia incalza: Roberto da qui riparte l’idea di rifare le fondamenta con tutti noi operai che ci vogliamo sporcare le mani. Come facciamo a diventare tanti moltiplicatori?
Saviano torna su se stesso e sulle difficoltà con cui deve convivere: sono giorni durissimi per me. Sono abituato a essere un bersaglio e a incassare. Ma devo anche reagire. A chi dice che la scorta è un privilegio io rispondo che invece è un dramma. Latina è un territorio complesso e non certo facile. Ma io non voglio rinunciare a lottare. Dobbiamo tenerci in contatto, anche nel mondo dei social. Dobbiamo approfondire e immaginare una strada diversa. Come diceva don Tonino Bello: “Non m’importa sapere chi è Dio, ma mi importa sapere da che parte sta”.
Applausi calorosi lo incoraggiano a proseguire. C’è la consegna dei premi Enea. A Coletta, sindaco di un Comune che pochi giorni fa si è costituito parte civile contro un’Azienda che sfruttava due lavoratori extracomunitari, l’onore di consegnarlo ad Aboubakar Soumahoro. Enea, il profugo, ha preso casa qui.