Il tè oggi lo prendiamo con Claudio Colombrita , un giovane autore , al suo esordio come romanziere.
Mettetevi comodi e godete ogni singola parola della sua intervista : vi arriverà dritta al cuore, così come il suo sorriso e il suo coraggio.
Impegnato nel sociale, Claudio fa della scrittura la sua personalissima arma contro la noncuranza così dilagante ai nostri giorni.
Il suo blog invita alla sensibilità , a lasciar parlare il proprio cuore e la propria anima, senza aver timore di esternare i propri sentimenti.
Dopo averlo conosciuto vi scoprirete a leggere i suoi articoli con bramosia . Uno dietro l’altro. E vi sentirete bene, come se aveste preso un qualche farmaco miracoloso. Mentre vi sarete soltanto lasciati coccolare l’anima e avrete imparato ad ascoltare i battiti del vostro cuore.
A me Claudio ha fatto tutto questo.
Vi lascio all’intervista , certa che la magia si ripeterà.
- Benvenuto Claudio, cominciamo parlando un po’ di te, della tua formazione e di come è maturata l’intenzione di scrivere un libro.
29 anni, 30 ahimè proprio tra pochi giorni, il 15 maggio, quando presenterò a Catania il mio primo romanzo “Cellule Impazzite”.
Laureato in legge, un percorso nel giornalismo iniziato quando avevo 18 anni, una passione per la scrittura atavica, sin da quando, a pochissimi anni, riempivo quaderni interi di pallini incomprensibili. Un modo per esprimere la creatività quando ancora non sapevo scrivere.
L’idea del libro nasce da lontano, quando poco più che maggiorenne sono entrato a far parte dell’Abio, Associazione Bambino in Ospedale, come volontario.
Dalle ore passate in reparto con i bambini è nata un’idea, concretizzatasi in pochi mesi lo scorso anno.
- Hai studiato legge ed ami il giornalismo , ma ne ha una visione tutta tua: ce ne parli?
Amo il giornalismo che cerca di dare risposte concrete, il giornalismo che si sporca le mani e vive in mezzo alla gente, amo raccontare le storie di tutti i giorni cercando di lanciare un messaggio che possa essere recepito da quante più persone possibili.
Purtroppo ormai vanno di moda solo i pettegolezzi, articoli dal titolo accattivante raccolgono l’interesse del pubblico mentre gli approfondimenti curati spaventano e destano poco interesse.
Il giornalismo nasce e muore in mezzo alla gente, bisogna sfruttare un veicolo potentissimo per lanciare messaggi.
- Il tuo blog è un inno alla esternazione della propria sensibilità : è così difficile al giorno d’oggi essere se stessi? Pensi che si viva quasi tutti in un ‘enorme finzione , quasi scrivendo ogni giorno un copione , indossando maschere e nascondendo i nostri veri sentimenti ?
” La sensibilità non è un reato“, il mio blog, è un piccolo atto di coraggio di chi ha deciso di riporre nel cassetto la propria maschera cercando di vivere appieno le sue emozioni e la sua natura.
Non è un percorso facile ma graduale, è estremamente affascinante seguire il proprio richiamo, imparare ad ascoltare di nuovo se stessi.
La sensibilità spaventa, della sensibilità ci si vergogna.
Viviamo impregnati da luoghi comuni come “Un uomo vero non deve mai piangere“, ma sono tutte fesserie che ci fanno comodo, perché lasciare spazio alla propria sensibilità espone nello stesso tempo a grandi rischi e a grandi soddisfazioni.
- Come si diffonde il culto della sensibilità?
Il culto della sensibilità si diffonde in tutti gli angoli della società.
I genitori, invece di aspirare ad avere il figlio perfetto, bravo a scuola, inserito nella società, dovrebbero curare più il suo lato umano.
La scuola può portare all’attenzione degli studenti veri e propri esempi di sensibilità, di vite eccezionali che sono rimaste impresse nella mente e nella storia.
La scrittura può avere un’eco importante.
La sensibilità fa parte dell’educazione, fa parte della vita, anche se molti tendono a individuarla come una cosa contro natura, un vero e proprio “reato”.
- Baccalà o ghiacciolo? Chi è Claudio?
Baccalà tutta la vita!
Sono un sognatore, non mi rassegno ad indossare la maschera che ha scelto per me la società ma provo a scovare tutti i modi possibili per vivere della mia creatività.
Viaggio con la mente insieme ai bambini, gioco con loro e mi metto alla pari.
Se potessi fare un patto col diavolo gli chiederei di farmi tornare bambino, dove tutto era più facile, dove potevamo essere tranquillamente noi stessi.
- L’empatia che ti porta ad essere così sensibile , tanto da sentire la sofferenza di chi è assolutamente lontano da te è un dono o si può cercare in fondo ai nostri cuori e farne un nostro personale valore aggiunto?
Credo fermamente che tutti siano dotati di sensibilità.
La differenza la fanno le montagne che buttiamo sopra essa per affossarla o seppellirla.
La sensibilità fa paura, meglio metterla a tacere.
La sensibilità ci porta a soffrire e gli essere umani fuggono dalla sofferenza.
La sensibilità è un dono, una dote che tutti possediamo e nella logica dei pro e dei contro è una bellissima caratteristica, che ti porta ad essere vivo, che ti fa sentire un ingranaggio di un mondo in cui tutti siamo pedine indispensabili.
- Quante volte al giorno dici “ti voglio bene?”
Devo essere sincero e devo dire che il “ti voglio bene” è un’espressione non facile da dire, anche per una persona sensibile come me.
A volte abbiamo paura di una reazione (che può essere solo positiva), ci sentiamo troppo grandi per ciò che riteniamo ormai patetico.
Sono migliorato, il percorso è graduale, adesso trovo sia un’espressione bellissima, da dire e non reprimere.
Forse non la dico spesso, ma credo di dimostrarla con i fatti.
- Raccontaci qualcosa della tua esperienza nel mondo del volontariato
Il volontariato è ed è stato il filo conduttore della mia vita, ciò che realizza e dona un senso alla mia vita.
Faccio il volontario Abio negli ospedali da più di dieci anni, scrivo spesso articoli legati al mondo del volontariato.
Sono stato praticamente ovunque e ho scoperto mondi meravigliosi.
La straordinaria sensibilità del mondo Down, la ricchezza d’animo dei clochard, le mille storie bellissime raccontate dai bambini malati, il mondo immaginario e pieno di colori dei non vedenti, il misterioso e affascinante universo dei ragazzi autistici.
Ho trovato persone magnifiche tra i volontari e i pazienti, ho trovato linfa per crescere, per essere un uomo migliore.
- Il valore di un sorriso
Il sorriso ha un valore inestimabile.
Non puoi quantificare il benessere che ti porta nelle giornate di tristezza, ti apre un mondo nuovo, un nuovo modo di pensare, allevia la sofferenza, ti rende felice.
Ridiamo troppo poco, perdiamo grandi occasioni tutti i giorni.
- Parlaci di “Cellule impazzite”.C’è qualcosa di autobiografico nel tuo romanzo?
“Cellule Impazzite” è il mio primo romanzo e racconta di un intreccio di storie tra i due protagonisti Luca e Clara, il primo volontario di un’associazione in ospedale, la seconda paziente malata di leucemia.
Sono poco più che adolescenti, presi dunque dalle problematiche tipiche, dai grandi amori e dalle grandi sofferenze.
Sono cellule impazzite, si alternano nei loro alti e bassi fino ad incrociarsi.
Nasce allora una nuova vita, con tutte le difficoltà del caso, con colori nuovi, con emozioni sorprendenti.
In “Cellule Impazzite” nulla è scontato, proprio come nella vita.
La mia lunga esperienza di volontariato ha dei riflessi inevitabili nel romanzo, le storie dei bambini, grandi insegnamenti per tutti, sono vissute sulla mia pelle, un tesoro che non potevo non condividere.
- Quale messaggio vorresti arrivasse ai tuoi lettori?
Vorrei che il lettore di “Cellule Impazzite” subisca effetti positivi dalle storie di Luca, Clara e dei bambini ricoverati in ospedale.
Vorrei lanciare un messaggio di speranza, sottolineare il ruolo fondamentale dell’amore, verso il prossimo, verso il proprio compagno/a, verso i propri genitori, verso l’umanità intera.
Anche in “Cellule Impazzite” c’è una sensibilità che prima è nascosta e poi emerge in tutto il suo splendore: fare volontariato non è l’unica soluzione possibile per riscoprirsi ma è sicuramente vantaggiosa.
Il volontario dona e riceve, così come i pazienti, eroi in un destino che non si sono scelti.
- Hai già in mente una nuova storia?
Ho in mente due nuove storie, una che lega sensibilità e religione e un’altra che sulla scia di “Cellule Impazzite”, narra la vicenda intrecciata di due protagonisti.
Presto prenderò la decisione su quale strada percorrere. Ho già abbozzato qualcosa.
- Quanto è importante scrivere per te?
Scrivere è vita, è rispetto per la mia persona, è la mia più grande passione, è quello che so fare meglio.
Ho provato a vivere più di concretezza che di scrittura, sono stato male, sono morto dentro.
Ho capito che non ne posso fare a meno, ho capito di avere un piccolo ruolo da ricoprire, per il mio benessere e, speriamo, per il benessere di altre persone
Con queste parole e con i profondi messaggi che Claudio ci ha regalato raccontando di sé, voglio lasciarvi e darvi appuntamento a prestissimo, felice di avervi potuto presentare una persona tanto speciale.
Un grande abbraccio a tutti voi
Clelia
Intervista presente anche sul mio blog