Fondi, infarto scambiato per gastrite. A 15 anni dalla morte di Bruno Semenzato via al processo contro la Asl

Il pronto soccorso dell'ospedale di Fondi

Dopo 15 anni dalla morte di Bruno Semenzato, 54enne di Fondi, noto personaggio nella vita sociale e politica della cittadina pontina, inizia il processo per il risarcimento dei danni richiesti dagli eredi all’Asl di Latina “per gli errori medici del personale sanitario del San Giovanni di Dio – fa sapere l’avvocato Renato Mattarelli – che non diagnosticarono un infarto che poche ore dopo uccise Semenzato”

Tutto cominciò la mattina festa della Liberazione del 25 aprile 2003 quando forti dolori al torace misero in allarme Bruno Semenzato che temendo un infarto si recò al Pronto Soccorso del “San Giovanni di Dio” di Fondi. Dopo un elettrocardiogramma negativo, solo due ore dopo, il 54enne dimesso con la rassicurazione che tutti vogliono sentirsi dire: “…vai a casa tranquillo, hai solo una gastrite. Avrai mangiato troppo…”.

Ma non fu. La sera le condizioni di salute peggiorarono e il medico di famiglia chiamato dai congiunti gli effettuò un elettrocardiogramma che inviò in telemedicina ricevendo la diagnosi di “Infarto del miocardio acuto in corso”.

“Così moriva Semenzato – afferma l’avvocato – non appena arrivava di nuovo, questa volta in emergenza, al Pronto Soccorso di Fondi dove poche ore gli era stato detto ‘…stai tranquillo, non hai nulla…’. Eppure, nonostante nel successivo processo penale siano state accertate le responsabilità – poi cancellate dalla prescrizione – dei medici di Fondi per la morte di Bruno Semenzato l’Asl di Latina non ha risposto alla richiesta di risarcimento dei danni in sede per la responsabilità civile dei sui medici”.

Per questo, la famiglia del 54enne di Fondi ha iniziato la causa civile con l’avvocato Renato Mattarelli che, dopo 15 anni di tira e molla, ha notificato l’atto di citazione all’Asl di Latina la cui udienza si terrà il 2 ottobre prossimo davanti al giudice Paccialli del Tribunale di Latina.

“Dall’esame dei documenti sanitari, che in sede in sede civile richiedono una riesame diverso e più attento per la quantificazione dei danni, sono emersi particolari inquietanti – afferma Mattarelli – come la redazione del certificato necroscopico (del tutto incompleto e non indicante le cause del decesso) proprio da parte del medico del Pronto Soccorso che la mattina non aveva diagnosticato l’infarto né aveva trattenuto, come previsto dalle linee guida internazionali, il paziente in osservazione né erano stati disposti gli esami degli enzimi che avrebbero sicuramente riscontrato l’infarto. Inoltre dalla cartella del Pronto Soccorso risulta, da una parte, che Bruno Semenzato sarebbe giunto in ospedale già morto mentre dalla scheda terapeutica risulta che sarebbe stato sottoposto a procedure rianimatorie incompatibili su un cadavere”. Altre questioni sanno discusse dall’avvocato Mattarelli nel corso del processo compresa la mancata disposizione dell’esame autoptico e del fatto che nessuno dei sanitari abbia registrato nel certificato necroscopico, ormai a morte avvenuta, che la causa del decesso è stata l’infarto.

La difesa dei familiari del 54enne di Fondi punterà a dimostrare che una tempestiva diagnosi (facile anche per un non medico: non a caso Bruno Semenzato si era recato al Pronto Soccorso proprio perché temeva di avere un infarto!) e la conseguente tempestiva terapia avrebbero evitato il decesso del paziente o quantomeno la perdita delle chance di sopravvivenza.