Latina, quello di Cervellati non era un buon piano. Parola di Moscardelli

Claudio Moscardelli

Quello di Cervellati non era un buon piano. Parola di Claudio Moscardelli.

In vent’anni ne è passata di acqua sotto i ponti, sono cambiate le amministrazioni, i partiti che ci governano, ma il giudizio che ruota attorno al professore di Bologna venuto a Latina per riportare ordine al “disordine” pianificato da Piccinato è rimasto immutato.

Moscardelli all’epoca era segretario cittadino del Partito Popolare Italiano, oggi è segretario provinciale del Partito democratico. In mezzo ha ricoperto molti incarichi elettorali, il più importante quello di senatore della Repubblica, appena la scorsa legislatura, entrando a far parte della commissione parlamentare antimafia. Curriculum a parte, appunto, sul lavoro di Cervellati non ha cambiato idea.

La proiezione di “Latina Littoria“, l’altra sera all’Arena Corso, ha riacceso il dibattito sul piano regolatore generale “mancato”, voluto dalla destra di Ajmone Finestra e sostenuto “inutilmente” dalla sinistra. Un tormentone politico andato avanti negli ultimi anni dell’amministrazione guidata dal federale, che oggi a quanto pare fa ancora discutere. E non poco.

“Il Piano del professor Cervellati a Latina è stato sempre presentato come il Piano ‘buono’ attaccato dai ‘cattivi’ costruttori per motivi di speculazione edilizia – afferma oggi Moscardelli -. A me interessa discutere sul merito del Piano Cervellati altrimenti ogni confronto sarebbe spento sul nascere se ci fermassimo a questa lettura. Questa impostazione diversa, l’altra sera poco prima della proiezione del film di Gianfranco Pannone, è stata accennata da Massimo Rosolini ma non aveva il tempo per approfondire. Ricordiamo che il Piano Regolatore Generale di Latina del professor Cervellati, incaricato da Finestra della variante generale al Prg vigente, venne adottato nel 2001 e poi bocciato dal Tar per vizi di carattere procedurale e successivamente abbandonato dal centrodestra”.

La critica

Moscardelli ricorda che da segretario cittadino del Ppi, impegnò molto le energie del partito per il confronto sullo strumento generale di pianificazione. “La nostra opposizione fu molto forte e puntuale. Contestavamo il metodo e il merito del Piano, che appariva debole sotto molti punti di vista in quanto ignorava i nodi principali che il nuovo strumento urbanistico generale avrebbe dovuto affrontare ed era fortemente viziato da un pregiudizio ideologico verso Latina”.

Secondo Moscardelli Latina era ed è, per il professore bolognese, una brutta città, “definita in modo polemico disordine pianificato o villettopoli rispetto a cui era da salvare solo la città di fondazione”.

“Latina, al contrario di ciò che sostiene Cervellati – afferma con sicurezza Moscardelli -, è una delle città italiane che si è sviluppata di più attraverso la pianificazione. Quando in Italia si progettavano stecconi molto in voga a sinistra o si densificava con enormi quartieri dormitorio senza verde e servizi, a Latina lo sviluppo era di edilizia bassa, con palazzine e aree ampie a verde come il quartiere Gescal di Santa Rita, un intervento edilizio e uno spazio urbano di qualità. Mentre altrove si ammucchiavano palazzoni, a Latina si costruiva sul modello californiano delle villette con giardino, senza gli eccessi di oltre oceano. Vivibilità e qualità urbana hanno costituito insieme all’industrializzazione e all’innovazione l’epoca della ‘Nuova Frontiera’ a Latina con lo sviluppo poderoso e straordinario che ha portato Latina ad essere la seconda città del Lazio con centomila abitanti in pochi decenni: le persone venivano da ogni parte d’Italia perché a Latina c’era lavoro, si viveva bene e si respirava aria di futuro”.

Potevano bastare queste frasi a Moscardelli per ricordare come e perché, poco meno di due decenni fa, lui e la forza politica che rappresentava aveva sonoramente bocciato il piano del professore bolognese di sinistra, tanto caro al non più giovane ragazzo di Salò per la centralità che andava assumendo in termini di esaltazione dell’architettura razionalista, capace di alimentare il vento fascio-comunista della città pontina. E invece no. Perché se oggi tutti appaiono contrari all’adozione di un nuovo strumento urbanistico, lui – Moscardelli – dice che invece dipende dalla forza del sindaco. E per spiegarsi meglio insiste sugli errori di Cervellati e sull’alternativa politico-urbanistica.

Il dettaglio

Di seguito riportiamo l’analisi che Moscardelli ci ripropone

Abbiamo sviluppato allora la nostra critica attraverso numerose riunioni ed iniziative pubbliche culminate nel convegno del 30 giugno 1998 in cui abbiamo presentato le nostre proposte. Sintetizzo le nostre critiche:

1) non c’è stata in Consiglio Comunale l’approvazione di una delibera quadro di indirizzo delle linee guida della Variante Generale al Piano espropriando il Consiglio Comunale e la Città di un confronto approfondito, politico e tecnico sulle scelte fondamentali per il nuovo Piano. Il confronto è avvenuto solo dopo la redazione del Piano e ogni critica era bollata come strumento di speculazione, altro che confronto con la Città.

2) Non è stato costituito l’Ufficio Piano strumento fondamentale per accompagnare la redazione del nuovo piano e la sua gestione nel tempo, salvo una poco credibile parvenza di ufficio nell’ultima fase,

3) la carenza del tema infrastrutturale era perfino imbarazzante. Da una parte Cervellati cancellava l’asse mare-monti che costituiva la spina dorsale della città sviluppatasi con il Piano Piccinato, approvato nel 1972, secondo il concetto di città al servizio del territorio recuperando un rapporto con assi fondamentali di collegamento e sviluppo quali la marina, perno di una nuova opportunità di crescita, e la cordigliera dei Monti Lepini e quindi la ferrovia e il complesso delle infrastrutture di collegamento viario con il Paese e con l’Europa, anche attraverso la tangenziale nord est. Il tema si legava anche alla prima concezione della città con il Piano originario che la concepiva al servizio del territorio ossia dello sviluppo agricolo. La cancellazione della strada Mare-Monti realizzata in parte ossia quella all’interno della Città, dalle nuove autolinee fino ai quartieri Nuova Latina e Nascosa (viale Nervi, viale Le Corbusier, ecc) e da realizzare per la parte da Latina a Latina Scalo alternativa a via Epitaffio e per la parte da Latina al Mare, rendeva inefficiente la mobilità affidata solo a via Epitaffio e all’attuale via del mare da Latina a Capo Portiere.

4) Il Piano aveva un impianto ideologico espresso bene dal concetto di voler rifondare la città. Insomma il Piano serviva a smantellare la città territorio di Piccinato attraverso operazioni non sostenibili: eliminare l’asse mare – monti, separare la città di fondazione dalla città nuova e dare sviluppo urbanistico all’asse Borgo Piave – Borgo Isonzo, una sorta di riproduzione in grande dell’impianto radiocentrico di Frezzotti per contrastare l’asse mare – monti e come scelta per dare una nuova forma alla Città. Peraltro le due direttrici presentano problematiche notevoli come l’appesantimento dell’asse di accesso su Borgo Piave e l’assurdità di espandere la direttrice Isonzo che va verso il Fogliano e il Parco.

5) l’idea di centro storico era confusa tra l’idea di valorizzare l’architettura di fondazione e la sterilizzazione del centro storico con la realizzazione dell’università. In realtà si negava così il ruolo di centro della città svuotandolo di funzioni e trasformandolo in quartiere universitario.

6) il Piano non si poneva nessun tema relativo al rapporto tra città di fondazione e città nuova, in particolare sull’asse che da Piazza del Popolo arriva allo Stadio che si frappone nella trama urbanistica e che rappresenta uno spazio urbano ideale, ormai sfruttato anacronisticamente, che potrebbe rappresentare, attraverso la delocalizzazione della struttura sportiva, una nuova funzione pubblica con il compito di cucire una nuova trama nel tessuto urbano. Tema ignorato anche per quanto riguarda la ricucitura del tessuto urbano all’altezza dell’attuale mediana che separa la città dai nuovi quartieri Nuova Latina e Nascosa.

7) il nuovo Piano scaricava troppa volumetria sui borghi snaturandone funzioni e ruoli mai identificati.

8) La Marina. Cervellati puntava sul parco tematico e non definiva idee di sviluppo originali per la valorizzazione dell’area. Il punto centrale è invece, allora come oggi, la pedonalizzazione dell’attuale lungomare che sarebbe il perno dello sviluppo della marina e la perimetrazione delle attuali costruzioni sul lungomare per una variante che incentivi il cambio di destinazione di uso da case private a strutture ricettive o di servizio al turismo e la riqualificazione o la sostituzione del patrimonio edilizio secondo standard di qualità .Occorre completare la viabilità retrostante, pedonalizzare il lungomare, rafforzare la depurazione delle acque e realizzare nell’area tra le dorsali del Colmata e del Mastropietro le strutture ricettive turistiche, gli impianti di turismo sportivo e il parco termale. Oltre la vuota retorica del passato e qualche operazione pesante in centro storico il Piano appariva debole, carente e non innovativo.

L’alternativa

“I temi che abbiamo sviluppato in alternativa allora e nel corso degli anni sono sintetizzabili così – scrive Moscardelli a corredo della precedente relazione critica – : serve un documento programmatico generale di sviluppo della Città che abbia come obiettivi la sua riqualificazione e non consumare territorio, un nuovo disegno urbano che dia forma alla Città, la connessione attraverso reti di infrastrutture per la mobilità per la veicolazione delle informazioni, reti di servizi culturali, sociali, sportivi, ambientali, una nuova qualità urbana con l’efficientamento energetico, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, la mobilità sostenibile, l’innalzamento della qualità degli spazi urbani e del verde per puntare ad una città giardino, la soluzione di nodi irrisolti come l’integrazione tra la città di fondazione e la città nuova, una nuova tessitura della trama urbana che punti a rafforzare le funzioni del centro storico che debbono essere molteplici e indicare funzioni pubbliche e culturali per dare anima, identità e centralità ai quartieri anche periferici, affrontare i temi della valorizzazione del territorio a partire dalla marina”.

La conclusione

Per Moscardelli oggi sono tutti contro l’adozione di uno strumento urbanistico generale. “Io dico che dipende dalla forza del sindaco – questa la lezione finale – che deve avere idee chiare e flessibilità nell’uso degli strumenti a disposizione, oltre una maggioranza che che sia in sintonia e con strumenti culturali e politici adeguati”.