L’Italia, il 2 giugno e la ripartenza che chiede coraggio

La deposizione della corona d’alloro al Milite Ignoto. I cortei, la bandiera tricolore che svetta ricordandoci che in quel simbolo c’è il cuore unitario della nostra Italia.

Tutti elementi che fanno la tradizione di una Festa, quella della nostra Repubblica, che quest’anno assume toni, colori e significati decisamente diversi.

Era il giugno 1946 quando l’Italia si trovava a compiere una scelta che ne avrebbe segnato il futuro.

Sono trascorsi oltre settanta anni da quando il popolo italiano, malconcio, indebolito e fiaccato nel corpo ma sempre più forte e vigoroso nell’animo decideva a chiare lettere su quali pilastri la nuova Italia avrebbe dovuto essere fondata e crescere.

Oggi, nel 2020, quella stessa Italia è chiamata a ritrovarsi dopo una delle emergenze, sanitarie, economiche, sociali, più devastanti dall’ultimo dopoguerra.

E’ un’Italia diversa che si sta riscoprendo lentamente da un velo fatto di paura e che è  chiamata ad una ripartenza complessa, dai contorni e dagli esiti incerti.

Un’Italia che in oltre sessanta giorni di lockdown legati alla diffusione del coronavirus è stata chiamata a guardarsi allo specchio, tra strade desolate, serrande abbassate, terapie intensive stracolme e tantissime vittime che sono una ferita profonda nel cuore e nel corpo del nostro Paese.

Oggi, in quella che viene definita la Fase 2, se vogliamo davvero ripartire dobbiamo avere il coraggio di farlo partendo dall’immagine che quello specchio ci ha dato di un Paese privo, a tutti i livelli, di una classe dirigente determinata e capace di risolvere i problemi di sempre e che in un momento di emergenza e drammatica debolezza sono emersi in tutta la loro violenza.

Deve farlo mettendo in conto che un Paese cresce se ci sono braccia, gambe ed intelligenze in grado di farlo camminare. Se ci sono quindi imprese messe nelle condizioni di produrre senza essere gravate da una burocrazia cavillosa, da provvedimenti che, a suon di ostacoli, diventano l’ennesimo problema da superare, come ad esempio l’acceso al credito, piuttosto ce lo strumento per farlo.

Se questa emergenza ci ha insegnato qualcosa è che l’Italia può ripartire concretamente solo se abbatte i limiti che l’hanno fatta trovare debole ed esposta ad una pandemia non solo sanitaria.

Il motore dell’Italia è fermo, ha ingranaggi sporchi a causa di anni di noncuranza.

In questo giorno, nel giorno in cui festeggiamo non solo la Repubblica ma i sacrifici, l’impegno culturale, intellettuale, imprenditoriale che l’hanno creata, riflettiamo sugli errori da evitare e sulle priorità da realizzare.

Non si può costruire un grande Paese sulle macerie, bisogna farlo sostenendo, dando spazio e ascolto alle forze vive e produttive capaci di trasformare, se messe nelle condizioni, un’emergenza in opportunità.