Cella troppo piccola: Ministero della Giustizia condannato

Detenzione disumana, lo Stato dovrà risarcire

Una cella angusta, meno di tre metri quadrati di spazio vitale, luce scarsa e igiene precaria: è questo lo scenario in cui un 58enne della provincia di Latina ha trascorso oltre 600 giorni tra il carcere di via Aspromonte e quello di Rebibbia. Una situazione giudicata incompatibile con la dignità umana, tanto da portare il giudice civile di Roma a condannare il Ministero della Giustizia.

Il ricorso, presentato dall’uomo attraverso l’avvocato Antonio Cavaliere, si basa sulla violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che vieta trattamenti inumani o degradanti. I fatti risalgono agli anni 2011-2013, ma la sentenza è arrivata solo nel 2020. Eppure, a distanza di anni, il risarcimento non è stato ancora corrisposto.

Nel dispositivo, il giudice ha sottolineato come non sia mai stata dimostrata l’adozione di misure idonee a compensare quelle che vengono definite “condizioni particolarmente afflittive” della detenzione. Le relazioni delle strutture penitenziarie, inoltre, sono state ritenute “lacunose e inconcludenti”.

Il caso non è isolato. Proprio nei giorni scorsi, un’altra sentenza simile ha riguardato il carcere di Cassino. Episodi che confermano quanto il tema del sovraffollamento carcerario sia tutt’altro che risolto, e che il rispetto dei diritti fondamentali resti spesso sulla carta.