Coronavirus, i bambini cancellati dalle strade e dimenticati dal Governo

I bambini cancellati dalle strade. E’ stato il Coronavirus, un mostro enorme che ha sospeso le lezioni a scuola e li ha rinchiusi nella torre più alta: le loro case. Non per la loro sicurezza, il virus fortunatamente poco li tange, ma per quella dei loro genitori, nonni e di tutti gli adulti.

Le città sono vuote delle loro urla, dei loro giochi, dei loro capricci e (a parte i loro genitori), tutti gli altri li hanno dimenticati. Non sono una priorità al momento e non vengono neanche nominati dal Governo e da chi si sta occupando dell’emergenza. Emergenza sanitaria ed emergenza economica, certo, ma prima o poi qualcuno dovrà pensare a loro, accorgersi che ancora esistono e hanno delle esigenze, ma ancora di più hanno dei diritti. In particolare il diritto a crescere in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale, spirituale e sociale.

Quando è stata decisa la chiusura delle scuole l’idea era quella di uno stop di 3 settimane. I bambini potevano comunque uscire, fare lunghe passeggiate. Poi è arrivata la reclusione. Il motivo è assolutamente valido e su questo non si discute. Evitare i rapporti sociali è l’unico mezzo per combattere il Covid-19. I piccoli alunni (ma tutti i bambini), sono così in casa ormai da 20 giorni. E’ stato necessario, è stato possibile, sono stati distratti con lavoretti, giochi, nascondini improbabili, film, cartoni, play station, compiti. Cominciano però a dare segni di sfinimento. Alcuni non vogliono alzarsi dal letto, altri – quando prima finivano i compiti in un lampo – restano davanti al quaderno immobili sfidando il genitore di turno che gli intima di finire. Altri chiedono ogni giorno quando torneranno a scuola. La sera al letto è tutto un “Mi mancano… i nonni, i miei amici, gli zii e i cuginetti”.

Per non parlare dei loro disegni. Un bambino di 6 anni, accanto all’arcobaleno ormai famoso accompagnato dalla scritta “Andrà tutto bene” ha disegnato il volto di un bambino, in testa aveva una specie di fungo marrone che gli colava sulla faccia. “Cos’è amore”, la risposta: “Un bambino che lotta con il coronavirus”.

Hanno bisogno di uscire, di sentirsi di nuovo parte di una comunità che sembra averli dimenticati. Che non consente loro neanche di comprare prodotti che servono per fare i compiti o soltanto per continuare a sognare: matite, colori, tempere, acquarelli. Sono riusciti a negare loro anche quelli, perché beni non necessari. Lo sono  invece, perché una volta sconfitto il virus dovremo affrontare le conseguenze psicologiche di tutti questi piccoli uomini e donne che non hanno le capacità di un adulto di gestire emozioni e problemi.

Hanno bisogno di uscire, di tornare a respirare e se non sarà possibile farlo con i loro compagni ancora, almeno che possano muoversi con i genitori. Perché due passi insieme al proprio nucleo familiare, rispettando la distanza con gli altri, oppure in zone isolate dove non c’è nessuno, possono cambiare una settimana, far capire loro che il mondo là fuori esiste ancora.

Li abbiamo visti quelli che postano sui social le foto di un papà che porta a spasso il bimbo nel passeggino, o di due genitori in campagna che camminano “senza un giustificato motivo” in una strada completamente deserta. Forse bambini non ne hanno, forse hanno paura, ma non puntate il dito, non ergetevi a difensori. Per i controlli ci sono le forze dell’ordine. Pensate con la vostra testa.

Se, come sembra, questo isolamento continuerà, i bambini dovranno tornare ad essere considerati, dovranno tornare al centro, e per loro – per la loro salute mentale e fisica – saranno necessari provvedimenti. Dite ai genitori come e quando, ma non dimenticate i bambini.