Operazione Dirty Glass, nomi e ruoli degli arrestati. Ci sono anche due carabinieri

Dodici ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite questa mattina dalla Squadra Mobile di Latina nell’operazione Dirty Glass, in collaborazione con i colleghi di Napoli, Lucca e Caserta, ed il supporto della Divisione Anticrimine della Questura di Latina e del Reparto Prevenzione Crimine di Roma e Napoli.

Quattro arrestati sottoposti alla misura della custodia cautelare in carcere; sette invece agli arresti domiciliari; un divieto di dimora nella provincia di Latina. Tutti sono indagati a vario titolo per reati in materia fiscale e tributaria, violazioni della legge fallimentare, estorsione aggravata dal metodo mafioso, intestazione fittizia di beni, falso, corruzione, riciclaggio, accesso abusivo a sistema informatico, rivelazioni di segreto d’ufficio, favoreggiamento reale,  turbativa d’asta, sequestro di persona e detenzione e porto d’armi da fuoco.
Eseguito anche il sequestro preventivo di 4 società.

Tra le ordinanze in carcere Luciano Iannotta, presidente di Confartigianato Latina e Natan Altomare, già coinvolto in Don’t Touch. Ai domiciliari due carabinieri – il colonnello Alessandro Sessa, anni fa comandante della compagnia di Latina, e Michele Carfora Lettieri.

Le indagini, sono partite a seguito di una denuncia sporta nel dicembre del 2017, nella quale un uomo dichiarava di aver rinvenuto una busta dinanzi alla porta d’ingresso del suo ufficio, intestata “al signor Luigi” e contenente alcune munizioni ed un biglietto con la scritta “bastardo devi pagare”. Notizia di reato poi rivelatasi costruita ad arte dal denunciante, con la presunta complicità di un ex poliziotto.

La ricostruzione della polizia.

Dalle indagini è emerso che alcuni di coinvolti abbiano simulato un’estorsione a carico di un uomo, tentando di incolpare ingiustamente altre persone: scopo dell’operazione era attribuire a  Biagio I. e Rocco I. la responsabilità non solo dell’estorsione in danno di D.G. Luigi, ma anche quella di aver dato mandato ad Armando D.S., per il recupero dei 50.000 euro versati a titolo di caparra confirmatoria al D.G. Luigi, per l’acquisto di un terreno.

Le attività tecniche di intercettazione, dunque, svolte al fine di accertare l’identità dell’autore delle intimidazioni apparentemente realizzate ai danni di D.G. Luigi consentivano diversamente di apprendere la consumazione di una serie rilevante di reati di matrice economica riconducibili al mondo imprenditoriale facente capo a Iannotta.

In particolare emergeva sin dall’inizio dell’attività tecnica come dietro a D. G. Luigi ed alle imprese dallo stesso rappresentante si celava Luciano Iannotta, reale amministratore di numerose società fittiziamente intestate al primo.

Si aveva infatti modo di accertare come da un lato l’esistenza di numerosi procedimenti penali a carico di Luciano Iannotta abbia evidentemente determinato lo stesso a schermare la propria partecipazione in un elevato numero di società tramite alcuni uomini di fiducia (D. G. si è rivelato essere il più vicino all’imprenditore), e dall’altro come tali operazioni di intestazione fittizia delle quote sociali sia stata preordinata altresì alla realizzazione del riciclaggio di proventi di attività delittuose.

Le modalità di acquisizione di alcuni compendi aziendali, grazie la complicità tra gli altri di Pio T., consentivano poi di accertare fatti di bancarotta fraudolenta realizzati al fine di subentrare nella gestione di aziende in dissesto in prossimità della declaratoria di fallimento, in tal modo sottraendo ai creditori delle imprese decotte i principali assets al di fuori della procedura concorsuale: è il caso delle Società riconducibili ad un gruppo, di proprietà di Franco P..

Nella medesima direzione, veniva registrata una serie di operazioni di riciclaggio di fondi di provenienza delittuosa riconducibili ad alcuni soggetti campani, tali F. Gennaro e Antonio, che, tramite simulate operazioni di compravendita immobiliare, e aumenti di capitale sociale in società partecipate, reimpiegavano centinaia di migliaia di euro nelle imprese riconducibili a Luciano Iannotta.

In tale contesto, emergeva la figura di Pasquale P., soggetto condannato tra l’altro per il reato di cui al 416 bis poiché contiguo a clan camorristici, che ha avuto un ruolo attivo nel mettere in contatto i fratelli F. con I. per consentire l’operazione di riciclaggio attraverso la ricapitalizzazione della società ITALY Glass con denaro illecito. Secondo quanto argomentato dal GIP, P. avrebbe inoltre dimostrato disinvoltura nell’intervenire presso un funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Roma rimasto non identificato, per consentire proprio a I. di risolvere un contenzioso dietro il pagamento di una tangente di 25.000.

Il proseguo delle indagini disvelava al contempo la commissione di altri reati contro la Pubblica amministrazione: Luciano Iannotta, Natan Altomare e D. G. Luigi turbavano la gara nei pubblici incanti, in relazione alla procedura esecutiva di beni di proprietà di una società riconducibile ad un prestanome del Iannotta.

Più singolare e significativo l’episodio nel quale il gruppo I. – F. veniva coinvolto nell’apparente corruzione di un funzionario della Regione Lazio, grazie al rapporto di Natan Altomare con alcuni imprenditori e funzionari pubblici, finalizzata all’illecita aggiudicazione di una procedura aperta bandita per la fornitura di cassonetti destinati alla raccolta dei rifiuti.

Tale episodio, alla luce di quanto ricostruito, si rivelerà una truffa ordita da ignoti che nell’occorso riuscivano a spillare a I. la somma di 600.000 euro in contanti; nei giorni successivi I. si metteva alla spasmodica ricerca delle persone responsabili del raggiro da lui subito, unitamente a Natan A., Pio T. ed altri soggetti,  i quali rintracciavano due presunti complici che venivano minacciati con armi da fuoco, grazie anche la complicità del figlio di Iannotta, all’interno di un capannone della Akros Holding, società londinese a quest’ultimo riconducile.

Le ricerche finalizzate a disvelare gli autori della frode proseguivano parallelamente attraverso l’acquisizione di informazioni dal maresciallo Michele Carfora Lettieri (carabiniere all’epoca in servizio presso il Nucleo Operativo della Compagnia CC di Terracina), che effettuava abusivi accertamenti presso la banca dati SDI in uso alle forze di Polizia.

In tale contesto, emergeva anche la figura del Colonnello dei Carabinieri Alessandro Sessa, il quale si faceva promettere utilità dallo stesso Iannotta per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio consistenti nella rivelazione di notizie ed informazioni tecniche sulle modalità di attivazione e disturbo della registrazione delle intercettazioni ambientali da parte della Polizia Giudiziaria, partecipando ad incontri con lo stesso Carfora Lettieri finalizzati ad assumere informazioni su procedimenti penali in corso.

Un profilo particolarmente caratterizzante la personalità criminale di Luciano Iannotta si è rivelato altresì quello relativo alla sua capacità di relazionarsi con appartenenti al mondo della criminalità organizzata; il profilo da ultimo menzionato emergeva in particolare grazie al contributo offerto da due collaboratori di giustizia appartenenti al clan Di Silvio, ovvero Renato Pugliese e Agostino Riccardo, che consentivano di accertare la consumazione di un’estorsione aggravata dal metodo mafioso in danno di un imprenditore locale, delitto consumato proprio su mandato di Luciano Iannotta e mai denunciato.

Nella circostanza i collaboratori riscuotevano per il loro interessamento la somma di 2650 euro, che incassavano da Iannotta per il tramite di Franco C., titolare di un’attività commerciale sita a Latina, il quale nell’occasione emetteva una falsa fattura.